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LA "TOLLERANZA REPRESSIVA" DELL'OMOSESSUALITÀ.

Quando un atteggiamento legale diviene tradizione.

Sezione 5-6 di 13
 
di: Giovanni Dall'Orto

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5. Il "patto sociale" fra lo Stato italiano e gli omosessuali

Silenzio e censura: ecco le autentiche armi usate dallo Stato italiano per reprimere l'omosessualità. è una censura così spietata da aver persino paura della pubblicità che a questo comportamento avrebbero dato gli scandali connessi ai processi penali contro gli omosessuali ("l'ignoranza è un fiore delicatissimo: basta un nonnulla per sciuparla", ammiccava Oscar Wilde). 

L'Italia non ebbe mai, e per scelta, scandali di enorme risonanza, come quelli che dall'Ottocento colpiscono a ripetizione l'opinione pubblica dei Paesi protestanti. Se non si criminalizzò il comportamento omosessuale fu anzi per evitare che uno scandalo à la Oscar Wilde infrangesse quella "ignoranza del vizio" auspicata da Zanardelli.[12].
 

Vignetta per lo scandalo tedesco Moltke-Eulemburg, 1907
Conseguenza inevitabile delle leggi antiomosessuali furono gli scandali a carattere omosessuale. Questa vignetta fu disegnata nel 1907 per uno di questi, lo scandalo tedesco "Moltke-Eulemburg".

Questa è in Italia, nella sua semplicità, la strategia di repressione dell'omosessualità: un processo di negazione da parte del Potere, a cui fa eco da parte delle classi popolari un processo di normalizzazione, da cui nasce il ruolo sociale del ricchione e del femmenella[13]

Lo Stato offre agli omosessuali una relativa impunità, assicura loro che non andrà mai a metter naso nelle loro case private (come invece succede ancor oggi negli Usa e in molte altre nazioni), ma in cambio esige che gli omosessuali non mettano mai in discussione, con il loro comportamento e i loro discorsi, la supremazia del modello di vita eterosessuale e patriarcale. 
Esige che l'omosessualità si "normalizzi", che non diventi mai uno "stile di vita", ma rimanga solo una variazione marginale e patetica dell'unico stile di vita "valido" e possibile: quello eterosessuale.

Il vantaggio che gli omosessuali italiani (e latini in genere) trovano in questo "patto" è che lo Stato non li costringerà mai ad "uscire dal nascondiglio" contro la loro volontà, per mezzo di processi clamorosi e "retate" che "mettano in piazza" la loro "diversità", come invece succede nei Paesi dove l'omosessualità è proibita. 
La "doppia vita" diviene non solo possibile e facile, ma anche socialmente incoraggiata.

È così che la società italiana è riuscita fino al 1971 a prevenire la formazione di un gruppo d'individui che facesse della sua diversità una ragione di battaglia, e quindi la nascita di un movimento di liberazione omosessuale
Ed è così che gli omosessuali italiani hanno potuto cullarsi tanto a lungo nei loro alibi di cartapesta ("Io sono bisessuale", "l'omosessualità non esiste", "io non sono omosessuale perché sono sposato" ecc.), che nessuno era interessato a verificare [14].

È particolarmente importare capire la logica di questa tattica, perché, come anticipavo all'inizio, in Italia si è fatta tradizione profondamente radicata: lo dimostra ad esempio il modo in cui le autorità e la società si comportano oggi di fronte alla crisi dell'Aids. Per quanto incredibile ciò possa apparire, l'Italia è uno dei pochi Paesi al mondo in cui una campagna di prevenzione mirata agli omosessuali non è mai stata fatta.

Una volta di più, il problema non esiste perché non deve e non può esistere.

Honoré Daumier - Avvocato e cliente


6. La repressione sabota la "doppia vita"

Poiché so che a qualcuno questa mia interpretazione della nostra storia apparirà un po' troppo audace, vorrei fare un paio di citazioni.

In un commento apparso sulla "Rivista penale" nel 1909 si afferma esplicitamente che (Foucault qui non ha scoperto proprio niente di nuovo) la repressione diretta ha lo svantaggio di "creare" il militante omosessuale che la combatte, e di stimolare la concentrazione degli omosessuali in una città-rifugio:
 

"Gli omosessuali tedeschi son usciti dall'ombra, ove generalmente amano starsene, per mostrarsi alla luce del sole, per riunirsi a Berlino, per discutere sui giornali, sulle riviste. L'art. 175 c.p., che incrimina gli atti di omosessualismo anche commessi fra le quattro pareti d'una stanza solitaria e per reciproco consenso, à potuto produrre quest'effetto, dando luogo a una campagna per l'abolizione di quella disposizione e impegnando una discussione vivissima pro e contro l'omosessualità"[15].

E in un manuale di medicina legale del 1921, si afferma:
 

"Quanto alla repressione dell'omosessualità, non è il caso di pensare alle deplorevoli disposizioni del famoso art. 175 del codice germanico
Queste ed altre immoralità e perversioni non sono da combattersi con inquisizioni sulla vita privata ed intima. La legge non deve intervenire che per offesa di ragione pubblica. 
La profilassi non può che rivolgersi all'accennata riforma educativa dei costumi[16].

E ancora, nel 1933, a ridosso dell'approvazione del nuovo "codice Rocco", vi fu chi scrisse:

"Si è notato che anche nei Paesi dove l'omosessualità è considerata come reato questa non solo permane, ma si circonda di una pericolosa aureola di pubblicità che contribuisce alla sua diffusione fra i predisposti e conduce non di rado ai più odiosi ricatti"[17].

Credo che alla luce di questi pareri sia più facile capire perché, quando il fascismo approvò il "codice Rocco" scelse di non fare parola dell'omosessualità.

Per questa decisione il codice penale fascista fu indicato subito dopo la guerra dai gay dei "democratici" Stati Uniti come un modello di modernità e... apertura di idee! [18].

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L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina.
Note

[12] Per una discussione relativa alle leggi sulla morale sessuale del primo codice penale italiano si veda il fondamentale e illuminante studio di -Romano Canosa, Sesso e Stato. Devianza sessuale e interventi istituzionali nell'Ottocento italiano, Mazzotta, Milano 1981, soprattutto alle pp. 101-121.

Ottimo anche il contributo di -Bruno Wanrooij, Storia del pudore, Marsilio, Venezia 1990, che analizza la battaglia culturale sul campo della sessualità nell'Italia dell'Ottocento e del primo Novecento.

Per una bibliografia dei testi giuridici e medici ottocenteschi relativi all'omosessualità rimando a: Giovanni Dall'Orto, Leggere omosessuale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, pp. 79-101.

[13] "Fra le strategie impiegate può esserci la negazione, la normalizzazione e la conversione. 
La negazione comporta un'incapacità o una non volontà di riconoscere l'esistenza dell'omosessualità, e pertanto di farlo apparire così rara che il fenomeno può essere liquidato come "qualcosa di cui non vale la pena di occuparsi", uno "scherzo di natura". 
Data la visibilità generalmente scarsa dell'omosessualità, la negazione può essere un meccanismo molto frequente per affrontare questa "anomalia".

La normalizzazione comporta lo sforzo di costringere le anomalie a cambiare, in modo da rientrare nelle categorizzazioni prevalenti, o almeno in modo da poter essere spiegate come parte di esse. 
Così, per esempio, l'omosessuale può essere spiegato in termini di "una donna nel corpo di un uomo", oppure "in realtà una donna anche se il corpo sembra quello di un uomo", e così via. 
Le categorie convenzionali delle persone dalla "sessualità normale" sono così salvaguardate". 
(Kenneth Plummer, Sexual stigma, Routhledge & Kegan, London & Boston, 1975, pp. 102-103. Traduzione mia).

[14] Incidentalmente: è forse con questa differente tradizione sociale che si spiega il fascino irresistibile che esercitano su noi omosessuali latini le comunità omosessuali costruite "a cittadella assediata" (come S. Francisco), chiuse in se stesse, mentre i gay di tradizione anglosassone e calvinista sono i più accaniti difensori dell'idea che l'omosessualità sia solo una "costruzione sociale" ("historical construction"), un'invenzione della società e del Potere. Ognuno vede nei difetti dello stile di vita altrui la promessa di un "nuovo" stile di vita che al suo Paese è impossibile.

[15].Anonimo, L'omosessualismo in Francia e in Germania,  "Rivista penale", LXIX 1909, pp. 518-519.
Il neretto è aggiunto da me.
Raccomando vivamente la lettura di questa noterella, che mette direttamente in relazione la tradizione religiosa (cattolica e protestante) e l'atteggiamento sociale verso l'omosessualità. Prudentemente l'autore confronta Francia e Germania, ma il paragone calza perfettamente anche per l'Italia di allora e di oggi.

[16].G. G. Perrando, Manuale di medicina legale, Idelson, Napoli 1921, pp. 134-135.
Il neretto è aggiunto da me.

[17].Amedeo Dalla Volta, Trattato di medicina legale, Società editrice libraria, Milano 1933, vol. 1, p. 308.
Il neretto è aggiunto da me.

[18] Si veda: Mack Fingal, The Italian penal Code: a study in evolution, "Mattachine review", II 1956, pp. 15-17.


Originariamente edito in Arci gay nazionale (a cura di), Omosessuali e Stato, Cassero, Bologna 1988, pp. 37-57.
Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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