5. Il "patto sociale" fra lo Stato italiano e gli omosessuali Silenzio e censura: ecco le autentiche armi usate dallo Stato italiano per reprimere l'omosessualità. è una censura così spietata da aver persino paura della pubblicità che a questo comportamento avrebbero dato gli scandali connessi ai processi penali contro gli omosessuali ("l'ignoranza è un fiore delicatissimo: basta un nonnulla per sciuparla", ammiccava Oscar Wilde). L'Italia
non
ebbe mai, e per scelta, scandali di enorme risonanza, come quelli
che dall'Ottocento colpiscono a ripetizione l'opinione pubblica dei Paesi
protestanti. Se non si criminalizzò il comportamento omosessuale
fu anzi per evitare che uno
scandalo à la Oscar Wilde infrangesse quella "ignoranza
del vizio" auspicata da Zanardelli.[12].
Questa è in Italia, nella sua semplicità, la strategia di repressione dell'omosessualità: un processo di negazione da parte del Potere, a cui fa eco da parte delle classi popolari un processo di normalizzazione, da cui nasce il ruolo sociale del ricchione e del femmenella[13]. Lo Stato offre agli omosessuali una relativa impunità, assicura loro che non andrà mai a metter naso nelle loro case private (come invece succede ancor oggi negli Usa e in molte altre nazioni), ma in cambio esige che gli omosessuali non mettano mai in discussione, con il loro comportamento e i loro discorsi, la supremazia del modello di vita eterosessuale e patriarcale.
Il vantaggio che gli omosessuali italiani (e latini in genere) trovano in questo "patto" è che lo Stato non li costringerà mai ad "uscire dal nascondiglio" contro la loro volontà, per mezzo di processi clamorosi e "retate" che "mettano in piazza" la loro "diversità", come invece succede nei Paesi dove l'omosessualità è proibita.
È così che la società italiana è riuscita fino al 1971 a prevenire la formazione di un gruppo d'individui che facesse della sua diversità una ragione di battaglia, e quindi la nascita di un movimento di liberazione omosessuale.
È particolarmente importare capire la logica di questa tattica, perché, come anticipavo all'inizio, in Italia si è fatta tradizione profondamente radicata: lo dimostra ad esempio il modo in cui le autorità e la società si comportano oggi di fronte alla crisi dell'Aids. Per quanto incredibile ciò possa apparire, l'Italia è uno dei pochi Paesi al mondo in cui una campagna di prevenzione mirata agli omosessuali non è mai stata fatta. Una volta di più, il problema non esiste perché non deve e non può esistere.
6. La repressione sabota la "doppia vita" Poiché so che a qualcuno questa mia interpretazione della nostra storia apparirà un po' troppo audace, vorrei fare un paio di citazioni. In un commento apparso sulla "Rivista penale" nel 1909 si afferma esplicitamente che (Foucault qui non ha scoperto proprio niente di nuovo) la repressione diretta ha lo svantaggio di "creare" il militante omosessuale che la combatte, e di stimolare la concentrazione degli omosessuali in una città-rifugio:
E in un manuale di medicina legale del 1921, si afferma:
E ancora, nel 1933, a ridosso dell'approvazione del nuovo "codice Rocco", vi fu chi scrisse:
Credo che alla luce di questi pareri sia più facile capire perché, quando il fascismo approvò il "codice Rocco" scelse di non fare parola dell'omosessualità. Per questa decisione il codice penale fascista fu indicato subito dopo la guerra dai gay dei "democratici" Stati Uniti come un modello di modernità e... apertura di idee! [18]. Vai alla sezione precedente (3-4) Vai alla sezione seguente (7-8)
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Note
[12] Per una discussione relativa alle leggi sulla morale sessuale del primo codice penale italiano si veda il fondamentale e illuminante studio di -Romano Canosa, Sesso e Stato. Devianza sessuale e interventi istituzionali nell'Ottocento italiano, Mazzotta, Milano 1981, soprattutto alle pp. 101-121. Ottimo anche il contributo di -Bruno Wanrooij, Storia del pudore, Marsilio, Venezia 1990, che analizza la battaglia culturale sul campo della sessualità nell'Italia dell'Ottocento e del primo Novecento. Per una bibliografia dei testi giuridici e medici ottocenteschi relativi all'omosessualità rimando a: Giovanni Dall'Orto, Leggere omosessuale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, pp. 79-101. [13] "Fra le strategie impiegate può esserci la negazione, la normalizzazione e la conversione.
La normalizzazione comporta lo sforzo di costringere le anomalie a cambiare, in modo da rientrare nelle categorizzazioni prevalenti, o almeno in modo da poter essere spiegate come parte di esse.
[14] Incidentalmente: è forse con questa differente tradizione sociale che si spiega il fascino irresistibile che esercitano su noi omosessuali latini le comunità omosessuali costruite "a cittadella assediata" (come S. Francisco), chiuse in se stesse, mentre i gay di tradizione anglosassone e calvinista sono i più accaniti difensori dell'idea che l'omosessualità sia solo una "costruzione sociale" ("historical construction"), un'invenzione della società e del Potere. Ognuno vede nei difetti dello stile di vita altrui la promessa di un "nuovo" stile di vita che al suo Paese è impossibile. [15].Anonimo,
L'omosessualismo
in Francia e in Germania, "Rivista penale", LXIX 1909, pp. 518-519.
[16].G.
G. Perrando,
Manuale di medicina legale, Idelson, Napoli
1921, pp. 134-135.
[17].Amedeo
Dalla
Volta, Trattato di medicina legale, Società editrice
libraria, Milano 1933, vol. 1, p. 308.
[18] Si veda: Mack Fingal, The Italian penal Code: a study in evolution, "Mattachine review", II 1956, pp. 15-17. |
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