7. Il fascismo e il codice Rocco La scelta del codice Rocco non fu insomma causata da una dimenticanza. Ciò è dimostrato dall'esistenza nella bozza di codice penale, del 1927, di un articolo, il 528, destinato a reprimere proprio gli atti omosessuali. Eccone il testo:
Si noti come questa proposta di legge "fascistissima" sia molto meno repressiva delle leggi tuttora in vigore in molti stati "democratici". Ciononostante, l'articolo non fu approvato.
Quanto al monopolio concesso alla Chiesa cattolica in campo morale, credo che il testo del nuovo Concordato parli da sé.
Esiste comunque un documento divertente che mostra in maniera paradossale fino a qual punto il fascismo considerasse la questione omosessuale come appartenente al campo della morale religiosa. Si tratta di una relazione ad un convegno di criminologia sulla vita morale in Libia, che all'epoca era colonia italiana. Figuriamoci se allora a qualcuno importava che le leggi che l'Italia preparava per i popoli colonizzati fossero eque e democratiche. Se si fosse promulgata una legge antiomosessuale in Libia, anche fortemente iniqua, nessuno se ne sarebbe accorto. Eppure di fronte al problema di come contenere l'omosessualità in Libia il relatore non ha alcun dubbio: bisogna coinvolgere le autorità religiose mussulmane, perché convincano la gente che il Corano condanna l'omosessualità!
Per concludere con le citazioni, che spero sufficientemente convincenti, vorrei leggere una noterella apparsa nel 1926 su "Il popolo d'Italia", quotidiano fascista fondato da Benito Mussolini e diretto da Arnaldo Mussolini, e quindi specchio decisamente fedele, nelle sue prese di posizione, del pensiero "ufficiale" del fascismo. Argomento è una recensione non meglio identificata, apparsa poco prima su un altro giornale, dell'epistolario di Oscar Wilde, nella quale si condannava l'Inghilterra per aver perseguitato un genio letterario di così alto livello. L'articolo non firmato, che si intitola Perversioni, si scaglia contro questa presa di posizione:
8. Fascismo e omosessuali: riassunto d'una ricerca d'archivio C'è bisogno d'altro? Si poteva essere più espliciti? Credo di no. Le tessere del puzzle combaciano in modo perfetto. Quella che si configura in Italia non è affatto, come a prima vista potrebbe apparire, la mancanza di un intervento delle autorità nel campo della devianza sessuale, ma al contrario una strategia generale compiuta con il minimo sforzo, il minimo disagio sociale, ed il massimo di rendimento.
Seguiamo per un attimo l'evoluzione delle leggi dall'Unità in poi. L'Italia umbertina prima, quella fascista poi, e quella democristiana subito dopo, seguono tutte la stessa identica strategia di controllo sociale: la "tolleranza repressiva" appunto. I cambiamenti di regime non hanno influito sul tipo di repressione: neppure quando nel 1936 l'Italia cercò di scimmiottare la Germania nazista, dichiarando gli omosessuali nemici della sanità della razza e mandandoli al confino. Grazie anche al contributo dell'Arcigay, che ha sostenuto le spese del viaggio e della ricerca, sono stato in grado di consultare presso l'Archivio centrale dello Stato a Roma gli incartamenti relativi ai confinati per omosessualità durante il fascismo [23]. Ebbene, mi ha colpito il fatto che il confino politico (non quello comune) per omosessualità, inaugurato nel 1936, non durò a lungo. Bastano tre anni perché le autorità si stufino di quel metodo di controllo così complicato e costoso, e nel 1940 tutti i confinati sono rispediti a casa (sotto il controllo occhiuto del parroco, del commissario di polizia, dei parenti e dei vicini); di confino per gli omosessuali non si parla più. Questo accadeva mentre i lager nazisti divoravano un numero sempre crescente di omosessuali tedeschi. Incidentalmente si noti come il confino fosse comminato non sulla base di una legge apposita, ma bensì del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (promulgato con Regio decreto n. 773 il 18-6-1931 e abrogato solo da pochi anni), che dava alla polizia il potere discrezionale di eliminare dalla convivenza sociale un individuo che avesse atteggiamento "scandaloso". Per questo non era necessario un processo regolare (ne bastava uno sommario), non erano necessarie prove, in quanto le prove le doveva fornire la polizia, che proponeva il confino e la cui "parola d'onore" costituiva prova essa stessa. Non era necessario provare che un dato atto era stato compiuto, specificando dove, quando, da chi e con chi. Bastava che la polizia affermasse che una certa persona "dava scandalo": tutto qui. In questo modo fu facile punire quegli omosessuali che non vivevano in modo sufficientemente segreto la loro condizione. Ma al confino si arrivava raramente (meno di novanta casi in tutto fra il 1936 ed il 1939): altri metodi repressivi di cui ho trovato traccia negli archivi sono il pestaggio (normale sotto il fascismo), l'uso delle classiche bottiglie d'olio di ricino, il licenziamento se si lavorava per un ente pubblico, e molto spesso anche l'ammonizione (una specie di arresto domiciliare mitigato) sotto la sorveglianza costante della polizia [24]. Sono tutte forme di repressione che non passano attraverso il codice penale, e perciò non lasciano traccia, non si prestano ad essere pubblicate sui giornali, sfuggono all'attenzione degli storici, non entrano a fare parte di statistiche, sono indolori per la società... ma non ovviamente per chi ne è colpito. Ed è
importante notare che la Repubblica ("antifascista e nata dalla
Resistenza") le eredita tutte, salvo naturalmente i brindisi di
olio di ricino, troppo "caratterizzati". Il confino ad esempio fu
comminato fino a pochi anni fa, anche se "solamente" ai transessuali [25].
Vai alla sezione precedente (5-6) Vai alla sezione seguente (9-10)
L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[19].Progetto preliminare di un nuovo codice penale, Tipografia delle Mantellate, Roma 1927, p. 206. Sul Codice Rocco e la sua decisione sull'omosessualità, il dibattito che la precedette, e le basi teoriche su cui si fondò, si veda oggi l'ottima tesi di laurea, raffinata nelle analisi e illuminante nelle conclusioni, di Carola Susani, La riflessione sull'omosessualità nel tardo positivismo italiano, Università "La sapienza", Roma, Facoltà di lettere e filosofia, anno accademico 1990-1991. [20].Relazione ministeriale sul progetto di Codice Penale, II, 314. Citato in V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, UTET, Torino 1936, parte 2, p. 218. Per altri pareri contrari all'incriminazione dell'omosessualità nel nuovo codice penale, e per una discussione generale sul periodo, rimando alla già citata tesi di Carola Susani, e al mio saggio Le ragioni di una persecuzione in: Martin Sherman, Bent, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, pp. 101-119, specie alle pp. 115-117. [21] Cesare Tallarigo, Reati caratteristici degli indigeni in Libia, pp. 398-399, in: Atti del I congresso internazionale di criminologia, Tipografia delle mantellate, Roma 1939, vol. V.
[22].Perversioni, "Il popolo d'Italia", 7 novembre 1926.
[23] Per le vicende degli omosessuali italiani durante il periodo in cui fu loro comminato il confino, si vedano i risultati della ricerca da me compiuta presso l'Archivio di Stato a Roma: Giovanni Dall'Orto, Per il bene della razza al confino il pederasta, "Babilonia" n. 35, aprile 1986, pp. 14-17; e Credere, obbedire, non "battere", "Babilonia" n. 36, maggio 1986, pp. 13-17; inoltre Giovanni Dall'Orto, Allarmi, siamo gay, "Panorama", 20 aprile 1986, pp. 156-165. Si veda anche la mia intervista a un ex-confinato omosessuale: Pepinella: "En quittant les îles Tremiti, il y en a qui ont pleuré!", "Gai pied hébdo", n. 271, 23-29 mai 1987, pp. 24-25; anche come: "Ci furono femmenelle che piangevano quando venimmo via dalle Tremiti!", "Babilonia" n. 50, ottobre 1987, pp. 26-28. A "fascismo e omosessualità" è dedicata una sezione del presente sito. [24] Al proposito si veda Luigi Salerno, Enciclopedia di polizia, Bocca, Milano 1938, alle voci "ammonizione" e "confino di polizia". [25] Si veda lo spiritoso resoconto dell'esperienza di "confino" in un paesino del Sud contenuto nell'autobiografia di uno dei primi transessuali "pubblici" italiani: Romina Cecconi, Io, la Romanina, Vallecchi, Firenze 1976. |
[Torna all'indice dei saggi di storia gay] [Vai all'indice delle biografie di personaggi gay]