Indice
del presente saggio:
1. Premessa
l tema che mi
è stato assegnato, l'evoluzione storica dell'atteggiamento dello
Stato italiano nei confronti dell'omosessualità, può
forse apparire un po' arido.
Perché faccio questa affermazione? Ma perché in Italia esiste da quasi due secoli una tradizione giuridica mai messa in discussione (nemmeno durante il fascismo), tramandata di generazione in generazione dall'inizio dell'Ottocento ad oggi, che è tuttora assai viva. Lo stesso codice penale attualmente in vigore in Italia (il "Codice Rocco", approvato nel 1930), è nato all'interno di una tradizione legislativa consolidata: quella del Code Napoléon, cioè del codice penale imposto da Napoleone a tutte le nazioni da lui conquistate o controllate. Questo nuovo
codice, benché costituisse sotto molti punti di vista una "restaurazione",
per molti altri era figlio legittimo della Rivoluzione francese. Il
suo modo di trattare dei comportamenti sessuali "devianti" è fra
questi ultimi: l'omosessualità in quanto tale non è infatti
neanche nominata.
2. La codificazione preunitaria Furono pochi
gli stati italiani che dopo la caduta di Napoleone seppero rinunciare
a uno strumento così adatto ai tempi come il "suo" codice penale.
In molti casi esso rimase "provvisoriamente" in vigore, con
le ovvie modifiche necessarie ai nuovi padroni; in altri costituì
il modello su cui fu ricalcato un nuovo codice penale.
Questa circostanza spiega perché l'omosessualità in quanto tale non costituisse un reato per quasi tutti i codici penali italiani pre-unitari, con la sola eccezione di quello austro-ungarico (che era in vigore nel Lombardo-Veneto) e di quello del Regno di Sardegna[4]. Questa "eccezione" ebbe comunque un'importanza notevole, perché il codice penale del Regno di Sardegna fu esteso nel 1860 al resto dell'Italia appena unificata. Il famigerato articolo 425, che puniva gli atti omosessuali su querela di parte o in caso di "scandalo", entrò così in vigore anche nelle altre province del neonato Regno. Ci fu però
un'eccezione molto significativa: al momento di promulgare il "nuovo" codice
nell'ex-Regno delle due Sicilie, l'art. 425, assieme a pochi altri, fu
abrogato [5].
Di fatto si giunse comunque a un paradosso: la pratica omosessuale fra adulti consenzienti poteva costituire un reato a Torino, Milano, Cagliari o Ancona, ma non a Firenze, Napoli, Bari o Palermo. Una situazione decisamente anomala. Quando però
venne il momento, dopo interminabili discussioni, di promulgare il primo
codice penale veramente "italiano" (il codice
Zanardelli, del 1889), il contrasto fra le due disposizioni legislative
fu risolto una volta di più secondo la tradizione del codice napoleonico.
Quello omosessuale ritornò così ad essere un comportamento
che, se compiuto fra adulti consenzienti in privato, non era preso in considerazione
dalle leggi.
3. La natura del controllo sociale religioso: cattolicesimo e calvinismo Fu una scelta di enorme importanza, che ci rimanda subito alla questione centrale del mio intervento. Perché mai la classe politica italiana, invece di "completare l'opera" estendendo l'art. 425 anche al Sud, come avrebbe potuto benissimo fare, scelse al contrario di cancellarlo del tutto? La risposta è semplice: perché sapeva che in Italia esisteva già un'altra agenzia di potere a cui poteva essere affidato il controllo e la repressione dell'omosessualità: la Chiesa cattolica. Per la classe politica liberale ottocentesca (ma anche per quella attuale, perfino a sinistra), il campo della morale, specialmente sessuale, è di "naturale" competenza della religione. La morale sessuale non riguarda lo Stato, che al più ha il dovere di intervenire solo quando l'immoralità rischia di creare turbamento all'"ordine pubblico". Non si tratta di un'innovazione. La spartizione delle aree di controllo sociale fra chiesa cattolica e Stato fu utilizzata già dallo stesso Napoleone, attraverso lo strumento del Concordato. Quello che voglio dire è, in altre parole, che il codice napoleonico è uno strumento legale pensato e creato per le esigenze dei Paesi cattolici, dove la Chiesa garantisce la repressione e la "copertura" di quelle aree di comportamento che i codici penali lasciano volutamente "scoperte". Se si osserva
quali sono le nazioni che fin dall'Ottocento hanno abbandonato la
persecuzione legale del comportamento omosessuale (Francia, Italia, Spagna,
Portogallo, le repubbliche dell'America latina, persino la
Polonia fascista di Pilsuldski) si noterà che sono
tutti Paesi cattolici.
Il caso limite, paradigmatico, è forse quello dell'Olanda, che ha seguìto il codice napoleonico fino a che la maggioranza della popolazione è stata cattolica, ma che dopo l'indipendenza del Belgio (e la conseguente riduzione dei cattolici a minoranza) introdusse leggi antiomosessuali [6]. Diversa è
la situazione nei Paesi protestanti, dove spesso esiste una galassia polverizzata
di chiese e sètte. Qui lo Stato non dispone di un interlocutore
unico, ed è costretto ad "agire in proprio" con leggi dirette.
Qui siamo di fronte, a mio parere, a una tipica esigenza calvinista, che nasce dalla teoria della predestinazione. Secondo questa teoria l'individuo ha solo un modo per verificare se appartiene o meno a una chiesa di predestinati alla salvezza. Se la Grazia divina si manifesta nella comunità, allora quella è una comunità di "salvati". Come si manifesta la Grazia? Se la comunità stessa osserva fedelmente i dettami divini, e "quindi" prospera (anche - se non soprattutto - economicamente...) è evidente che la Grazia salvifica è all'opera [7]. Per comunità
di questo tipo l'individuazione di comportamenti privati "scorretti"
diventa una necessità vitale: è come scoprire il baco
nella mela. Permettere l'esistenza anche occulta (anzi, soprattutto
se occulta) di comportamenti "immorali" equivale a disinteressarsi del
proprio destino di "predestinato" alla salvezza o meno. (Da qui anche la
passione tutta anglosassone per gli affari di letto degli uomini politici...).
Diverso è
l'atteggiamento mentale (e morale) del cattolico, a cui manca l'ossessivo
autocontrollo dei calvinisti.
Particolare illuminante: mentre negli Stati cattolici la Chiesa è contraria a leggi antiomosessuali, nei Paesi protestanti, dove è solo una delle tante sette cristiane, e non può quindi controllare in prima persona la società, ne è una delle più accese sostenitrici. Non mi si obbietti che il background religioso di cui ho appena parlato non può avere grande importanza nella società laica attuale. Se qualcuno si fa illusioni al proposito, gli ricorderò che la famosa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1986, ha giustificato ed ammesso le leggi antiomosessuali proprio facendo esplicito richiamo alla legge divina... Honoré Daumier, Le Grand Escalier du Palais de Justice, 1865. 4. "Riesce più utile l'ignoranza del vizio" Dopo questo
excursus
torniamo al punto di partenza, cioè all'Italia dell'Ottocento, dove
l'esistenza di una "divisione dei compiti" fra chi si deve occupare
del "campo della morale" (cioè la Chiesa) e lo Stato
viene ammessa senza alcuna difficoltà.
Dunque per la classe politica italiana il problema omosessuale non esiste, è meglio non parlarne nemmeno, perché se ne parlassimo troppo la gente comincerebbe a porsi questioni un po' pericolose sulla natura dell'omosessualità. Il parere di
Zanardelli
viene esplicitato in modo inequivocabile in un commento del 1889:
Il concetto
viene ribattuto ancora una volta nel 1909:
5. Il "patto sociale" fra lo Stato italiano e gli omosessuali Silenzio e censura: ecco le autentiche armi usate dallo Stato italiano per reprimere l'omosessualità. è una censura così spietata da aver persino paura della pubblicità che a questo comportamento avrebbero dato gli scandali connessi ai processi penali contro gli omosessuali ("l'ignoranza è un fiore delicatissimo: basta un nonnulla per sciuparla", ammiccava Oscar Wilde). L'Italia non ebbe mai, e per scelta, scandali di enorme risonanza, come quelli che dall'Ottocento colpiscono a ripetizione l'opinione pubblica dei Paesi protestanti. Se non si criminalizzò il comportamento omosessuale fu anzi per evitare che uno scandalo à la Oscar Wilde infrangesse quella "ignoranza del vizio" auspicata da Zanardelli.[12]. Questa è in Italia, nella sua semplicità, la strategia di repressione dell'omosessualità: un processo di negazione da parte del Potere, a cui fa eco da parte delle classi popolari un processo di normalizzazione, da cui nasce il ruolo sociale del ricchione e del femmenella[13]. Lo Stato
offre agli omosessuali una relativa impunità, assicura loro
che non andrà mai a metter naso nelle loro case private (come
invece succede ancor oggi negli Usa e in molte altre nazioni),
ma in cambio esige che gli omosessuali non mettano mai in discussione,
con il loro comportamento e i loro discorsi, la supremazia del modello
di vita eterosessuale e patriarcale.
Il vantaggio
che gli omosessuali italiani (e latini in genere) trovano in questo "patto"
è che lo Stato non li costringerà mai ad "uscire dal nascondiglio"
contro la loro volontà, per mezzo di processi clamorosi e "retate"
che "mettano in piazza" la loro "diversità", come invece succede
nei Paesi dove l'omosessualità è proibita.
È così
che la società italiana è riuscita fino al 1971 a
prevenire
la formazione di un gruppo d'individui che facesse della sua diversità
una ragione di battaglia, e quindi la
nascita di un movimento di liberazione omosessuale.
È particolarmente importare capire la logica di questa tattica, perché, come anticipavo all'inizio, in Italia si è fatta tradizione profondamente radicata: lo dimostra ad esempio il modo in cui le autorità e la società si comportano oggi di fronte alla crisi dell'Aids. Per quanto incredibile ciò possa apparire, l'Italia è uno dei pochi Paesi al mondo in cui una campagna di prevenzione mirata agli omosessuali non è mai stata fatta. Una volta di più, il problema non esiste perché non deve e non può esistere. 6. La repressione sabota la "doppia vita" Poiché so che a qualcuno questa mia interpretazione della nostra storia apparirà un po' troppo audace, vorrei fare un paio di citazioni. In un commento
apparso sulla "Rivista penale" nel 1909 si afferma esplicitamente che (Foucault
qui non ha scoperto proprio niente di nuovo) la repressione diretta
ha lo svantaggio di "creare" il militante omosessuale che la combatte,
e di stimolare la concentrazione degli omosessuali in una città-rifugio:
E in un manuale
di medicina legale del 1921, si afferma:
E ancora, nel 1933, a ridosso dell'approvazione del nuovo "codice Rocco", vi fu chi scrisse:
Credo che alla luce di questi pareri sia più facile capire perché, quando il fascismo approvò il "codice Rocco" scelse di non fare parola dell'omosessualità. Per questa decisione il codice penale fascista fu indicato subito dopo la guerra dai gay dei "democratici" Stati Uniti come un modello di modernità e... apertura di idee! [18]. 7. Il fascismo e il codice Rocco La scelta del codice Rocco non fu insomma causata da una dimenticanza. Ciò è dimostrato dall'esistenza nella bozza di codice penale, del 1927, di un articolo, il 528, destinato a reprimere proprio gli atti omosessuali. Eccone il testo:
Si noti come
questa proposta di legge "fascistissima" sia molto meno repressiva delle
leggi tuttora in vigore in molti stati "democratici". Ciononostante, l'articolo
non fu approvato.
Quanto al monopolioconcesso
alla Chiesa cattolica in campo morale, credo che il testo del nuovo
Concordato parli da sé.
Esiste comunque un documento divertente che mostra in maniera paradossale fino a qual punto il fascismo considerasse la questione omosessuale come appartenente al campo della morale religiosa. Si tratta di una relazione ad un convegno di criminologia sulla vita morale in Libia, che all'epoca era colonia italiana. Figuriamoci se allora a qualcuno importava che le leggi che l'Italia preparava per i popoli colonizzati fossero eque e democratiche. Se si fosse promulgata una legge antiomosessuale in Libia, anche fortemente iniqua, nessuno se ne sarebbe accorto. Eppure di fronte
al problema di come contenere l'omosessualità in Libia il relatore
non ha alcun dubbio: bisogna coinvolgere le autorità religiose
mussulmane, perché convincano la gente che il
Corano condanna l'omosessualità!
Per concludere con le citazioni, che spero sufficientemente convincenti, vorrei leggere una noterella apparsa nel 1926 su "Il popolo d'Italia", quotidiano fascista fondato da Benito Mussolini e diretto da Arnaldo Mussolini, e quindi specchio decisamente fedele, nelle sue prese di posizione, del pensiero "ufficiale" del fascismo. Argomento è una recensione non meglio identificata, apparsa poco prima su un altro giornale, dell'epistolario di Oscar Wilde, nella quale si condannava l'Inghilterra per aver perseguitato un genio letterario di così alto livello. L'articolo non
firmato, che si intitola Perversioni, si scaglia contro questa presa
di posizione:
8. Fascismo e omosessuali: riassunto d'una ricerca d'archivio C'è bisogno d'altro? Si poteva essere più espliciti? Credo di no. Le tessere del puzzle combaciano in modo perfetto. Quella che si
configura in Italia non è affatto, come a prima vista potrebbe apparire,
la mancanza di un intervento delle autorità nel campo della devianza
sessuale, ma al contrario una strategia generale compiuta con il
minimo sforzo, il minimo disagio sociale, ed il massimo di rendimento.
Seguiamo per un attimo l'evoluzione delle leggi dall'Unità in poi. L'Italia umbertina prima, quella fascista poi, e quella democristiana subito dopo, seguono tutte la stessa identica strategia di controllo sociale: la "tolleranza repressiva" appunto. I cambiamenti di regime non hanno influito sul tipo di repressione: neppure quando nel 1936 l'Italia cercò di scimmiottare la Germania nazista, dichiarando gli omosessuali nemici della sanità della razza e mandandoli al confino. Grazie anche al contributo dell'Arcigay, che ha sostenuto le spese del viaggio e della ricerca, sono stato in grado di consultare presso l'Archivio centrale dello Stato a Roma gli incartamenti relativi ai confinati per omosessualità durante il fascismo [23]. Ebbene, mi ha colpito il fatto che il confino politico (non quello comune) per omosessualità, inaugurato nel 1936, non durò a lungo. Bastano tre anni perché le autorità si stufino di quel metodo di controllo così complicato e costoso, e nel 1940 tutti i confinati sono rispediti a casa (sotto il controllo occhiuto del parroco, del commissario di polizia, dei parenti e dei vicini); di confino per gli omosessuali non si parla più. Questo accadeva mentre i lager nazisti divoravano un numero sempre crescente di omosessuali tedeschi. Incidentalmente si noti come il confino fosse comminato non sulla base di una legge apposita, ma bensì del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (promulgato con Regio decreto n. 773 il 18-6-1931 e abrogato solo da pochi anni), che dava alla polizia il potere discrezionale di eliminare dalla convivenza sociale un individuo che avesse atteggiamento "scandaloso". Per questo non era necessario un processo regolare (ne bastava uno sommario), non erano necessarie prove, in quanto le prove le doveva fornire la polizia, che proponeva il confino e la cui "parola d'onore" costituiva prova essa stessa. Non era necessario provare che un dato atto era stato compiuto, specificando dove, quando, da chi e con chi. Bastava che la polizia affermasse che una certa persona "dava scandalo": tutto qui. In questo modo fu facile punire quegli omosessuali che non vivevano in modo sufficientemente segreto la loro condizione. Ma al confino si arrivava raramente (meno di novanta casi in tutto fra il 1936 ed il 1939): altri metodi repressivi di cui ho trovato traccia negli archivi sono il pestaggio (normale sotto il fascismo), l'uso delle classiche bottiglie d'olio di ricino, il licenziamento se si lavorava per un ente pubblico, e molto spesso anche l'ammonizione (una specie di arresto domiciliare mitigato) sotto la sorveglianza costante della polizia [24]. Sono tutte forme di repressione che non passano attraverso il codice penale, e perciò non lasciano traccia, non si prestano ad essere pubblicate sui giornali, sfuggono all'attenzione degli storici, non entrano a fare parte di statistiche, sono indolori per la società... ma non ovviamente per chi ne è colpito. Ed è
importante notare che la Repubblica ("antifascista e nata dalla
Resistenza") le eredita tutte, salvo naturalmente i brindisi di
olio di ricino, troppo "caratterizzati". Il confino ad esempio fu
comminato fino a pochi anni fa, anche se "solamente" ai transessuali [25].
9. Tradizione o "continuismo"? Fra l'Italia umbertina, quella fascista e quella democristiana non esiste insomma soluzione di continuità: cambiano i regimi ma non la condizione legale dell'omosessualità, che continua a non essere penalmente perseguibile. Analogamente, esiste una continuità fra la Germania imperiale, la Repubblica democratica di Weimar, il Terzo Reich nazista e la Repubblica federale tedesca (almeno fino alla parziale abrogazione nel 1969 del paragrafo 175): oltralpe l'omosessualità fu sempre reato. Ed fino agli anni Novanta inoltratila Germania s'è rifiutata di indennizzare gli omosessuali sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, considerando "legittimo" il loro internamento! I sociologi in questi casi parlano di "viscosità" delle istituzioni. E credo che questo sia un eccellente esempio di "viscosità", cioè di conservatorismo e "continuismo". Un continuismo che giunge fino ai giorni nostri. 10. Tentativi di introduzione di leggi antiomosessuali nel codice penale italiano Nel dopoguerra
in Italia è stata per ovvie ragioni la Democrazia Cristiana il partito
che ha garantito il mantenimento di questa tradizione.
Quando gli Usa divennero i dominatori del mondo occidentale, i loro principii penali assursero improvvisamente a "modelli" da seguire, e non mancò chi ritenne necessario "adeguarsi" al livello di "civiltà" d'Oltreatlantico adottando anche nei Paesi europei leggi contro gli omosessuali. A tre riprese in Italia (nel 1960, 1961 e 1963) si tentò di far discutere un progetto di legge antiomosessuale: due volte per iniziativa del Movimento sociale, ed una di Bruno Romano, deputato del Psdi [26]. Ebbene, nessuna delle tre proposte fu mai messa all'ordine del giorno, e tutte e tre decaddero col decadere della legislatura senza essere mai state discusse. Nei documenti dell'epoca ho letto che il "sabotaggio" fu "promosso" dalla Democrazia Cristiana, che trovava inopportune le proposte. Non ho i mezzi
per verificare la fondatezza di questa "accusa"; in ogni caso tutto contribuisce
a far pensare che non sia infondata.
Oggi facciamo fatica a credere a qual punto arrivasse in Italia, negli anni Cinquanta e Sessanta, il regime inquisitoriale sulle questioni sessuali, e sull'omosessualità prima di tutto. Gino
Olivari, una figura che molti conosceranno, fu denunciato
nel 1953 per aver scritto un articolo in cui parlava con simpatia
di due collegiali, suicidatisi dopo che il loro amore era stato scoperto
e "messo in piazza".
L'editore
di "Scienza e sessualità", il
primo mensile italiano che si occupò timidamente di sessualità,
se la dovette vedere con le squadracce di padre
Gemelli(il fondatore dell'Università
Cattolica) che giravano per Milano a minacciare gli edicolanti
che vendevano la sua rivista.
L'editore De Carlo, che pubblicava libri "piccanti" ma anche opere "serie" sulla sessualità, fu denunciato per "oscenità" contemporaneamente in tutte e 91 le province italiane d'allora, e non potendo affrontare 91 processi in un botto solo fu costretto a dichiarare fallimento[27]. Questa era
l'Italia di quegli anni, l'Italia in cui l'onorevole (poi presidente
della Repubblica) Scalfaro.schiaffeggiava
pubblicamente (e impunemente) in un bar di Via Veneto una donna
perché, a suo dire, aveva un scollatura eccessiva.
Per dare un'idea più precisa di queste tentativo fallito, ecco due brevi stralci dalle proposte di legge in questione. Nella proposta
dell'Msi si dice ad esempio che
L'articolo di
legge dell'Msi così recita:
Per quel che
riguarda Bruno Romano la
sua proposta di legge è assolutamente delirante: egli
chiede infatti:
(art. 1) salvo il caso in cui uno dei partner abbia meno di 17 anni, nel qual caso la reclusione va da cinque a dieci anni! (art. 2). Ma la parte
davvero pazzesca è l'art. 4 della proposta, che così recita:
Siamo di fronte all'introduzione di un vero e proprio reato d'opinione! Non solo: poiché nello spirito di allora qualsiasi difesa dell'omosessualità era di per sé un'apologia, anche i promotori e relatori di questo convegno (compreso me) rischierebbero oggi, se la proposta di Romano fosse stata approvata, dai 5 ai 10 anni di carcere... Le cose andarono poi come già sappiamo, e queste leggi non furono approvate. Eppure, colmo della raffinatezza, negli anni successivi proprio la mancanza di leggi antiomosessuali fu utilizzata come argomento polemico per sostenere la "insensatezza" della protesta del neonato movimento gay [32]. Siamo arrivati
al momento attuale [1986].
L'onorevole
Rodotà ci ha appena ricordato come negli Stati Uniti il movimento
per i diritti civili sia avanzato
grazie a processi esemplari, che hanno fatto scalpore e hanno stabilito
un precedente.
Un alto dirigente del "Fuori!" torinese mi ha detto qualche anno fa (e non stava scherzando): "In Italia ci vorrebbe una bella legge contro l'omosessualità o un'Anita Bryant, così il movimento gay diventerebbe fortissimo". È un paradosso (perché oggi abbiamo sì un movimento gay debolino, ma fortunatamente nessuna Anita Bryant!), però ha un fondo di verità. Per chiudere il discorso, vorrei porre alcuni interrogativi sul movimento gay italiano e la situazione attuale [del 1986]. Di recente ho sentito fare molto chiasso attorno all'ex articolo 28 del codice militare, di cui alcuni di noi hanno chiesto l'abrogazione, senza peraltro inserire la loro richiesta in una riflessione generale sull'esercito, né su quella che è la vita di un omosessuale in un'istituzione così patologicamente antiomosessuale, fallocratica, maschilista ecc. Nel corso di questa bagarre io ho avuto l'impressione che il nostro movimento gay stesse banalmente cercando di scimmiottare gli americani: "siccome lo fanno loro, dobbiamo farlo anche noi". Senza tener conto di questo nostro secolo di storia così diversa dalla loro, senza tenere conto del fatto che noi abbiamo una tradizione che è esattamente agli antipodi di quella statunitense. La nostra subalternità al modello "stelle-e-strisce" è un sintomo di sterilità, ma anche di una sfaticataggine (mi si perdoni il termine) imperdonabile. Creare una cultura nuova significa infatti anche studiare, leggere, riflettere; fino ad oggi però la cultura è stata l'ultima preoccupazione del movimento gay, che per risparmiare fatica ha preferito importare "già fatte" da oltreoceano le sue parole d'ordine, per quanto inadeguate. Ad esempio ho sentito alcuni di noi rivendicare il "diritto" all'adozione per le coppie omosessuali, quando in Italia non sono sicuramente le coppie adottive che mancano: ce ne sono venti per ogni bambino in stato di adottabilità. È davvero possibile che noi siamo così stupidi da non sapere che l'adozione non è mai stata un diritto per nessun adulto, né etero né omosessuale? Io stento a crederlo. L'adozione è un diritto del bambino ad avere una famiglia che lo segua e lo curi: è un diritto civile del bambino, non dell' adulto. In America,
dove quello di "foster
parent" è un mestiere come un altro, può
avere senso protestare: lì si tratta soprattutto di una questione
di discriminazione sul posto di lavoro.
Fino a quando la coppia omosessuale sarà bersaglio di preconcetti e di uno stigma sociale, non avrà senso il rifilare a un bambino abbandonato, che ha già avuto per conto suo una collezione di traumi non indifferente, l'ulteriore problema di essere "il figlio dei culattoni". Quanta leggerezza
e quanta mancanza di serietà stia alla base di proposte come questa
lo rivela il fatto che quando gli americani parlano di "coppia gay" parlano
di una realtà di cui hanno discusso senza remore per dieci anni,
consacrandole almeno due voluminosi studi sociologici.
Proposte
di questo tenore servono insomma solo a nascondere i problemi autentici
che già esistono: ad esempio quello della custodia o del diritto
di visita dei figli in caso di divorzio, quando uno dei genitori sia omosessuale.
Esiste già almeno un precedente, di cui hanno parlato i giornali
qualche anno fa, di una madre lesbica che si è vista negare la custodia
dei figli proprio perché era lesbica.
C'è la questione dell'accesso all'inseminazione artificiale per chi non fa parte di una coppia sposata, ad esempio una lesbica. Esistono i problemi delle convivenze di fatto, che in nessun modo sono riconosciute dalla legge. Come pensano i nostri sventatelli di proporre l'adozione da parte di una coppia di omosessuali, se poi da un punto di vista legale tale coppia non esiste? Cominciamo
col discutere del riconoscimento delle convivenze di fatto,
ai pargoletti penseremo in un secondo momento. Se proprio si sente un grande
vuoto nella propria vita, esiste la soluzione dell'affido,
che per la legge italiana può essere fatto anche da un individuo
singolo.
Ecco, qui i gay potrebbero sfruttare il loro "handicap" momentaneo trasformandolo in un vantaggio, in modo da proporsi come "avanguardia" verso una cultura dell'infanzia che sia per l'infanzia, e non creata per titillare gli egoismi dell'adulto. La conclusione che vorrei trarre dal mio discorso è questa. Non facciamoci illusioni sul fatto che le difficoltà di rapporto tra omosessuali e Stato nascano da un'arretratezza culturale del solo Stato. L'arretratezza culturale dello Stato c'è ed è enorme, ma non è questo il solo punto della questione. Il fatto è
che il "patto non scritto" stilato nell'Ottocento ha, come tutti
i patti, più di un contraente: da una parte c'è sì
lo Stato, ma dall'altra ci sono pur sempre gli omosessuali.
Eppure se si vogliono rimescolare le carte, bisogna anche tenere conto del fatto che non sempre è possibile avere la botte piena e la moglie ubriaca. Oggi abbiamo
un movimento gay, anche un Arcigay, in cui la pratica della furbizia,
del piccolo cabotaggio e dell'ipocrisia è tutt'altro che
sparita.
Farla finita con queste ridicole schizofrenie, con la cultura rancida che ancora ammorba l'Arcigay, è la condizione indispensabile per continuare la nostra battaglia. Non possiamo più permetterci il lusso di non capire che se ripetiamo allo Stato che l'"omosessualità non esiste", o che è solo "una costruzione sociale" artificiale, non solo non gli proponiamo una "provocazione rivoluzionaria", ma non facciamo altro che ripetergli quello che lui ci va dicendo da un secolo e mezzo. Cambiare è necessario, ma cambiare noi, se vogliamo che anche lo Stato cambi. Non è pensabile che gli omosessuali siano riconosciuti come "soggetto sociale", quando certi militanti dell'Arcigay non hanno neppure il coraggio di essere riconosciuti come... omosessuali. E cosa mai dovrebbe "riconoscere" allora lo Stato: un'entità metafisica? Oggi i nostri
nemici parlano un linguaggio stranamente simile al nostro.
Forse la stretta assonanza fra le più "audaci" teorizzazioni del movimento gay e le più retrive argomentazioni dei nostri avversari non è dovuta all'improvvisa conversione dei nostri nemici in sostenitori. Forse si tratta di una nostra adesione - non proprio conscia - alla loro visione del mondo. Non sarebbe il caso di rifletterci sopra? Milano, 20/9/1987. L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1]
Originariamente edito in: Arci gay nazionale (a cura di), Omosessuali
e Stato, Cassero, Bologna 1988, pp. 37-57, che proponeva gli atti d'un
convegno
di studi dell'Arcigay sulla legislazione italiana, tenuto a Roma il
20 giugno 1986.
[2]
Si noti come nei Paesi di tradizione anglosassone la
pena di morte sia sopravvissuta più a lungo: ancora
nei primi decenni dell'Ottocento si registrano in Gran
Bretagna esecuzioni capitali per buggery.
Ciò dovrebbe metterci in guardia (specie in campo storico) contro l'abitudine di applicare al mondo del "codice napoleonico" conclusioni tratte da studi sul mondo anglosassone, come fanno allegramente gli adepti della "Queer theory" e del "costruzionismo storico", senza tener conto della diversità delle tradizioni giuridiche e sociali. [3] Charles de Montesquieu, Lo spirito delle leggi (1748), varie edizioni, libro XII, cap. 6. Voltaire, Prix de la justice et de l'humanité (1777), article XIX ("De la sodomie"), in: Oeuvres complètes, Aux bureaux du siècle, Paris 1869, tomo V. [4] Si veda al proposito la bibliografia sui codici penali preunitari che ho messo online, facendo clic qui. [5]
Si veda in proposito la Relazione luogotenziale presentata a S.A.R.
il principe luogotenente dalla commissione per gli studii legislativi istituita
con decreto del 6 febbraio 1861.
[6] Si veda in proposito l'essenziale studio di Maarten Salden, The Dutch Penal law and homosexual conduct, "Journal of Homosexuality", XIII winter 1986/spring 1987, pp. 155-179. Naturalmente
sono ben conscio del fatto che altri elementi, soprattutto influenze
culturali da parte di un Paese della stessa lingua, hanno giocato nella
complessa partita per l'introduzione o meno di leggi antiomosessuali nei
codici.
[7] L'ovvio riferimento di queste mie osservazioni non è tanto il classico -L'etica protestante e lo spirito del capitalismo (Sansoni, Firenze 1980) di Max Weber, quanto piuttosto il suo Le sette e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano 1977. [8]
Questa situazione ha un'altra conseguenza, interessantissima. Costringendo
il fedele a interrogare incessantemente la propria coscienza, il calvinismo
spinge involontariamente l'omosessuale a dissezionare, definire,
ed infine (in alcuni casi) rivendicare la propria "diversità".
Naturalmente
queste mie osservazioni sull'influenza della religione nella società
andrebbero
applicate anche alla rovescia, verificando cioè come la società
latina e la società anglosassone abbiano riversato nella religione,
in quanto (marxianamente) "ideologia", le rispettive preoccupazioni tipiche
nei confronti dell'omosessualità.
[9]
Camera dei Deputati, Progetto per il codice penale per il Regno d'Italia,
vol. 1, Relazione ministeriale, Stamperia Reale, Roma 1887, pp. 213-214
(seduta del 22 novembre 1887).
[10]
Giampaolo Tolomei, Dei delitti contro il buon costume e contro
l'ordine delle famiglie, "Rivista penale", XXX 1889, p. 319.
[11]
P. Tuozzi, "I delitti contro il buon costume e la famiglia", in:
Enrico Pessina (a cura di) Enciclopedia di diritto penale,
vol. IX (1909), SELI, Milano 1905-1913; pp. 172 e 175.
[12] Per una discussione relativa alle leggi sulla morale sessuale del primo codice penale italiano si veda il fondamentale e illuminante studio di -Romano Canosa, Sesso e Stato. Devianza sessuale e interventi istituzionali nell'Ottocento italiano, Mazzotta, Milano 1981, soprattutto alle pp. 101-121. Ottimo anche il contributo di -Bruno Wanrooij, Storia del pudore, Marsilio, Venezia 1990, che analizza la battaglia culturale sul campo della sessualità nell'Italia dell'Ottocento e del primo Novecento. Per una bibliografia dei testi giuridici e medici ottocenteschi relativi all'omosessualità rimando a: Giovanni Dall'Orto, Leggere omosessuale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, pp. 79-101. [13]
"Fra le strategie impiegate può esserci la negazione, la normalizzazione
e la conversione.
La normalizzazione
comporta lo sforzo di costringere le anomalie a cambiare,
in modo da rientrare nelle categorizzazioni prevalenti, o almeno in modo
da poter essere spiegate come parte di esse.
[14] Incidentalmente: è forse con questa differente tradizione sociale che si spiega il fascino irresistibile che esercitano su noi omosessuali latini le comunità omosessuali costruite "a cittadella assediata" (come S. Francisco), chiuse in se stesse, mentre i gay di tradizione anglosassone e calvinista sono i più accaniti difensori dell'idea che l'omosessualità sia solo una "costruzione sociale" ("historical construction"), un'invenzione della società e del Potere. Ognuno vede nei difetti dello stile di vita altrui la promessa di un "nuovo" stile di vita che al suo Paese è impossibile. [15].Anonimo,
L'omosessualismo
in Francia e in Germania, "Rivista penale", LXIX 1909, pp. 518-519.
[16].G.
G. Perrando,
Manuale di medicina legale, Idelson, Napoli
1921, pp. 134-135.
[17].Amedeo
Dalla
Volta, Trattato di medicina legale, Società editrice
libraria, Milano 1933, vol. 1, p. 308.
[18] Si veda: Mack Fingal, The Italian penal Code: a study in evolution, "Mattachine review", II 1956, pp. 15-17. [19].Progetto preliminare di un nuovo codice penale, Tipografia delle Mantellate, Roma 1927, p. 206. Sul Codice Rocco e la sua decisione sull'omosessualità, il dibattito che la precedette, e le basi teoriche su cui si fondò, si veda oggi l'ottima tesi di laurea, raffinata nelle analisi e illuminante nelle conclusioni, di Carola Susani, La riflessione sull'omosessualità nel tardo positivismo italiano, Università "La sapienza", Roma, Facoltà di lettere e filosofia, anno accademico 1990-1991. [20].Relazione ministeriale sul progetto di Codice Penale, II, 314. Citato in V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, UTET, Torino 1936, parte 2, p. 218. Per altri pareri contrari all'incriminazione dell'omosessualità nel nuovo codice penale, e per una discussione generale sul periodo, rimando alla già citata tesi di Carola Susani, e al mio saggio Le ragioni di una persecuzione in: Martin Sherman, Bent, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, pp. 101-119, specie alle pp. 115-117. [21]
Cesare Tallarigo, Reati caratteristici degli indigeni in Libia,
pp. 398-399, in: Atti del I congresso internazionale di criminologia,
Tipografia delle mantellate, Roma 1939, vol. V.
[22].Perversioni,
"Il popolo d'Italia", 7 novembre 1926.
[23] Per le vicende degli omosessuali italiani durante il periodo in cui fu loro comminato il confino, si vedano i risultati della ricerca da me compiuta presso l'Archivio di Stato a Roma: Giovanni Dall'Orto, Per il bene della razza al confino il pederasta, "Babilonia" n. 35, aprile 1986, pp. 14-17; e Credere, obbedire, non "battere", "Babilonia" n. 36, maggio 1986, pp. 13-17; inoltre Giovanni Dall'Orto, Allarmi, siamo gay, "Panorama", 20 aprile 1986, pp. 156-165. Si veda anche la mia intervista a un ex-confinato omosessuale: Pepinella: "En quittant les îles Tremiti, il y en a qui ont pleuré!", "Gai pied hébdo", n. 271, 23-29 mai 1987, pp. 24-25; anche come: "Ci furono femmenelle che piangevano quando venimmo via dalle Tremiti!", "Babilonia" n. 50, ottobre 1987, pp. 26-28. A "fascismo e omosessualità" è dedicata una sezione del presente sito. [24] Al proposito si veda Luigi Salerno, Enciclopedia di polizia, Bocca, Milano 1938, alle voci "ammonizione" e "confino di polizia". [25] Si veda lo spiritoso resoconto dell'esperienza di "confino" in un paesino del Sud contenuto nell'autobiografia di uno dei primi transessuali "pubblici" italiani: Romina Cecconi, Io, la Romanina, Vallecchi, Firenze 1976. [26] Si veda al proposito: Bruno Romano, Perché mi batto contro gli omosessuali, "ABC", 25 giugno 1961. Maurizio Bellotti, Une proposition immonde, "Arcadie" n. 94, octobre 1961, pp. 509-513. Sulla richiesta di criminalizzare il comportamento omosessuale si veda inoltre: Salvatore Messina, L'omosessualità nel diritto penale, "Ulisse", primavera 1953, pp. 671-677. Per il testo
delle leggi si veda:
[27] Si veda l'intervista concessa da Bernardino Del Boca in: Giovanni Dall'Orto (a cura di): La pagina strappata, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1987, pp. 79-99. [28].Atti parlamentari, op. cit., n.1920 (22/1/1960), p.1. [30].Op. cit., n. 2990 (29/4/1961), p. 10. [32]
"Questa della uguaglianza dei diritti - rispondono alla polizia - è
una barzelletta perché da noi, almeno sul piano legale, è
cosa fatta a differenza di altri Paesi (l'Inghilterra,
la Germania e parecchi Stati americani).
Sui metodi repressivi usati dalla polizia nel dopoguerra si vedano le memorie del commissario Carmelo Camilleri, Polizia in azione, Ordine pubblico, Roma s.d. (ma 1958), pp. 37-40. [33]
Nota aggiunta nel 2003: queste considerazioni sono oggi superate,
ma le mantengo come documentazione storica sul dibattito di quel periodo.
[34] Carla Guglielmi, E tu non sei gay ma uomo, "Madre", gennaio 1987, pp. 30-32. |
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