Da: Dei
delitti e delle pene [1764] [1]
Capitolo
31
DELITTI DI PROVA DIFFICILE
In
vista di questi principii strano parrà, a chi non riflette che la
ragione non è quasi mai stata la legislatrice delle nazioni, che
i delitti o più atroci o più oscuri e chimerici, cioè
quelli de' quali l'improbabilità è maggiore, sieno provati
dalle conghietture-[2]-e
dalle prove più deboli ed equivoche; quasiché le leggi e
il giudice abbiano interesse non di cercare la verità, ma di provare
il delitto; quasiché di condannare un innocente non vi sia un tanto
maggior pericolo quanto la probabilità dell'innocenza supera la
probabilità del reato.
(…)
Vi sono alcuni delitti
che sono nel medesimo tempo frequenti nella società e difficili
a provarsi, e in questi la difficoltà della prova tien luogo della
probabilità dell'innocenza, ed il danno dell'impunità essendo
tanto meno valutabile quanto la frequenza di questi delitti dipende da
principii diversi dal pericolo dell'impunità, il tempo dell'esame
e il tempo della prescrizione devono diminuirsi egualmente.
E pure gli adulterii, la
greca libidine, che sono delitti di difficile prova, sono quelli che
secondo i principii ricevuti ammettono le tiranniche presunzioni, le quasi-prove,
le semi-prove (quasi che un uomo potesse essere semi-innocente o semi-reo,
cioè semi-punibile e semi-assolvibile), dove la tortura esercita
il crudele suo impero nella persona dell'accusato, nei testimoni, e persino
in tutta la famiglia di un infelice, come con iniqua freddezza insegnano
alcuni dottori che si danno ai giudici per norma e per legge.
(…)
|
Le
"regie carceri" di Milano (oggi comando dei vigili urbani) all'epoca in
cui Beccaria scriveva, a Milano, questo testo. Sulla sinistra sorge la
casa del boia.
L'attica venere
così severamente punita dalle leggi e così facilmente sottoposta
ai tormenti vincitori dell'innocenza, ha meno il suo fondamento su i bisogni
dell'uomo isolato e libero che sulle passioni dell'uomo sociabile e schiavo.
Essa prende la sua forza
non tanto dalla sazietà dei piaceri, quanto da quella educazione
che comincia per render gli uomini inutili a se stessi per fargli utili
ad altri, in quelle case dove si condensa l'ardente gioventù, dove
essendovi un argine insormontabile ad ogni altro commercio, tutto il vigore
della natura che si sviluppa si consuma inutilmente per l'umanità,
anzi ne anticipa la vecchiaia [3].
(…)
|
Le ex carceri
di Milano nel 2002. In primo piano: nella piazzetta ottenuta abbattendo
la casa del boia sorge il monumento a Cesare Beccaria. (Foto G. Dall'Orto).
Io non pretendo diminuire
il giusto orrore che meritano questi delitti; ma, indicandone le
sorgenti, mi credo in diritto di cavarne una conseguenza generale, cioè
che non si può chiamare precisamente giusta (il che vuol dire necessaria)
una pena di un delitto, finché la legge non ha adoperato il miglior
mezzo possibile nelle date circostanze d'una nazione per prevenirlo.
.
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Nota di Dall'Orto,
2003: qui
si può leggere, dalle lettere
a questo sito, il commento d'un lettore (in inglese) a questa pagina, e
il suggerimento d'aggiunta d'un altro brano della stessa opera.
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L'autore ringrazia
fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati
su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà
eventuali errori in essa contenuti. |
Note
[1]
Il testo su cui mi sono basato è quello
messo online dal Progetto
Manuzio, a sua volta scansione dell'edizione a cura di Renato Fabietti
edito da Mursia nel 1973.
Dei delitti
e delle pene è uno dei testi fondamentali della cultura occidentale:
edito senza grandi pretese e con molte reticenze e prudenza, la storia
gli riservò a sorpresa in tutta Europa il ruolo di libro-manifesto
delle aspirazioni illuministe
di riforma della Giustizia. Caterina
di Russia ne fece addirittura la base del suo codice penale,
e lo stesso
fece il granduca Pietro
Leopoldo di Toscana nel 1786. La Chiesa cattolica, ovviamente,
lo mise all'Indice.
Nel capitolo
31, di cui propongo un estratto, si chiede di riconsiderare le pene
durissime che colpivano delitti di prova difficile, tra i quali l'"àttica
venere" o "greca libidine" che dir si voglia, cioè i rapporti sessuali
fra maschi.
Beccaria
ci fa un po' sorridere per l'analisi che vede nei collegi (gestiti
dai preti) il luogo in cui questo tipo di amore veniva appreso.
Sopprimere
i collegi, a suo dire, era il modo migliore per risolvere alla radice
il problema. Essendo egli stato educato in collegio avrà forse parlato
per esperienza...
Il linguaggio
di questo libro ci pare oggi di una timidezza estrema, ma il messaggio
era per l'epoca intollerabilmente scandaloso: un po' come se oggi qualcuno
chiedesse la legalizzazione della pedofilia...
Il dibattito
a cui appartiene quest'opera proseguì negli anni seguenti e infine
diede frutto: nel 1789 la Rivoluzione
francese abolì la pena
di morte per la sodomia, anzi, abolì il reato di sodomia
e Napoleone,
imponendo il codice
penale francese all'Europa, diffuse tale novità in tutto
il Continente, Italia compresa. Solo l'Inghilterra
si sarebbe attardata, mantenendo la pena
di morte per la sodomia per
altri tre quarti di secolo.
[2].Congettura.
[3]
I collegi. |