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Giorgio Cattellani (18..-1902)

Copertina di Amori illeciti di Cattellani.
Copertina dell'edizione del 1903 dell'opera
 
Ermafrodito  [1893] [1].
 
/ p. 25 / Ciò che aveva fatto quell'uomo - ma che uomo! quelI'ibrido, quell'osceno ermafrodito [2] - faceva ribrezzo, era schifosamente infimo, era vile, era inqualificabile; sì, proprio inqualificabile, non v'era aggettivo con cui stigmatizzare quell'essere, non esisteva nome da  dargli: ermafrodito era un sostantivo troppo nobile; osceno, infame erano epiteti troppo umani; egli - anzi, non egli, esso - era, non meno che uomo, ma meno che maschio, era... era innominabile, inqualificabile. 
 Ed, al pensiero di essere la moglie, la compagna indivisibile, la metà di quell'essere mostruoso, di quell'osceno malato, ella si sentiva rabbrividire, sentiva un freddo intenso invaderle tutte le membra, ed un caldo, un gran caldo, dentro il cranio, nel cervello - e portava, istintivamente, per interrompere quel calore doloroso, le manine diacce [gelide, NdR] a la testa e le affondava ne i capelli fino a premere la cotenna nuda; poi si copriva li occhi rossi, aridi, stranamente dilatati, come per un'impressione di terrore. 
 Era stata, in fatti, una visione mostruosa, terribile, che le era rimasta come fotografata ne la retina, e che ella tentava invano di scacciare; persino li occhi ne erano restati fisicamente offesi ed irritati; ella sentiva, nel nervo ottico, quel sottile spasimo intenso, che si prova dopo aver fisata lungamente una fiamma, ed era in preda d'un simigliante acciecamento. 
 Un'ora prima ella lo adorava follemente, quell'essere, esso era il suo dio, il suo unico bene, di lei, bimba ancora, ingenua, interamente vergine d'anima. / p. 26 /  
 Ella sognava ancora - un'ora prima - le sue carezze, suoi baci, i suoi forti e dolcissimi amplessi; sognava il suo corpo apollineo, d'una bianchezza quasi inverosimile, le sue belle membra perfette, da i contorni morbidi, quasi feminili; sognava la sua bocca, le sue dolci labra, la sua serica, bionda barba, che le molcesse la gola, i suoi languidi occhi azzurri socchiudentisi, anneganti ne la voluttà. 
 Ed era stato in uno di questi sogni voluttuosi, ch'ella, piena di desiderio, impaziente, anzi che attender lui, s'era, pian piano, levata, ed - infilate le babbucce, uscita di camera [3] - lievemente, smorzando ne la morbidezza de i tappeti il romore de i passi - aveva, a la luce lunare, piovente da le invetriate, attraversato l'appartamento; su la soglia de la stanza di lui s'era fermata. 
 La porta era socchiusa, un filo di luce passava, ed un alenare [ansimare, NdR] forte si udiva da la fessura; forse egli dormiva, ed ansimava oppresso da un brutto sogno. 
 Avea spinta dolcemente la porta... 
  
***

 La stanza piccola, parata di una tapezzeria oscura e d'un soffice tappeto rosso, era invasa da un dolce tepore e debolmente illuminata da una lampada ad olio, a ventola [con il paralume, NdR] azzurra. 
 Il letto, guarnito d'un ricco cortinaggio [4], era in angolo, a sinistra entrando. 
 Qui la visione mostruosa le era apparsa, e le si era impressa, indelebilmente, ne li occhi. 
 Poggiato al letto, quell'uomo, quell'essere, obligava un altro uomo, un altro maschio, ad avvilirsi, ad infamarsi con lui... 
 Ella avea visto quel bel corpo virile, che tante volte si era abandonato, fremente, sul suo, piegarsi in avanti, poggiarsì al letto: quelle braccia, che tante volte l'aveano strettamente allacciata, protendersi in dietro... 
 E l'altro, l'altro maschio - il cameriere - ...... 
 Ah! era orribile! era orribile! / p. 27 /  

 Non ricordava più come fosse rimasta - certo i sensi esterni e la forza de le membra li avea conservati, già che non era caduta; ma, più certamente, aveva perduta ogni percezione morale. 
 Ricordava d'essere fuggita e rientrata in letto - poi, provata una terribile oppressione, come per un peso enorme, schiacciante, che le occupasse il seno; ed era stata quasi per impazzire, sentendosi il cranio fisicamente vuoto, avendo la percezione di una grande, ottundente vuotezza, del vuoto assoluto... 
 Poi un freddo intenso I'avea presa in tutte le membra; ed un caldo, un gran caldo, nel cervello. 
 E la visione persisteva ne la retina, come fotografata, bruciandovi. 
 Il cervello di lei era stato, durante quasi un'ora, molto ammalato; le funzioni ne erano rimaste completamente interrotte - poco a poco, ella rinveniva; ora sentiva, senza rendersi conto di ciò che sentisse: presentiva. 
 Presentiva che stava per nascere in lei qualche cosa di nuovo, di strano, di non mai provato: un sentimento che la sua anima vergine non arrivava a definire. 
 E, nel presentimento di questa sensazione nuova, che I'avrebbe condotta ad un fatto nuovo, ella si calmò; in questa attesa calma - di quella calma agghiacciante, che succede sempre ad una immensa catastrofe - ella potè di nuovo pensare. 

***

 Se ella avesse trovato quell'essere, che era stato suo marito - ma che certo (questo lo sentiva perfettamente) non dovea più esserlo - con un'altra donna, forse lo avrebbe ucciso, forse sarebbe, a sua volta, fuggita, con un altro uomo. 
 Se lo avesse trovato (ella non avrebbe neppur sognato ciò poche ore prima) lui con un altro uomo... ma diversamente [5], ella - stomacata, disgustosamente offesa - sarebbe tornata da sua madre, o sarebbe ad ogni modo fuggita.  / p. 28 / 

 Ma, in fine, anche divisi, egli avrebbe potuto continuare a chiamarsi suo marito, già che continuava ad essere uomo; sarebbe stato, per lei, un uomo ingrato, infame, osceno.... ma sempre uomo; ed ella se ne sarebbe vendicata [6]. 
 Ma così... 
 Ella rabbrividivi, le si rivoltava lo stomaco<,> provava una sensazione indefinita, pensando che un essere come quello aveva posseduto il fiore de la sua giovinezza, la primizia de le sue carni; meglio sarebbe stato essere prostituita in un postribolo! 
 L'idea de i suoi abbracci la spaventava talmente, ch'ella si raggomitolava sotto le lenzuola, si copriva tutta, tutta; quasi temendo che quelle braccia potessero raggiungerla, che quelle mani potessero sfiorarle la pelle, 
 Il sentimento nuovo ella ora lo provava; era definito ma indefinibile: indifferenza certo non era - odio, disprezzo, schifo erano sentimenti ancor troppo umani - ribrezzo.... forse era. 
 E questo sentimento la spingeva a qualche cosa di nuovo, a fare qualche cosa di quell'essere: non a vendicarsene - sarebbe stato nobilizzarlo - ma, semplicemente, a sopprimerlo, già che le pareva mostruoso, inammissibile che potesse esistere un essere come quello, il quale fosse suo marito, e l'avesse posseduta tutta intera, anima e corpo per due anni. 
 Sì! dovea sopprimerlo; e senza toccarlo, senza sporcarsi: in un modo ignominioso, come un pidocchio, come un topo. 
 

***

 Aveva trovato. 
 D'un ripido movimento silenzioso, serpentino, ella scivolò dal letto; infilò le babbucce ed una vestaglia bianca; si accostò a la lampada ad olio e ne rialzò il beccuccio. 
 Poi, reggendo il lume in una mano, lisciandosi co' l'altra i capelli, si appressò al largo specchio, ergentesi da terra, e si guardò. 
 In quel disordine notturno, ella era bellissima: la sua persona snella, elegantissima<,> si modellava divinamente sotto le pieghe de l'accappatoio discinto, su cui spioveva, morbida, opaca, la magnifica massa de i capelli castanei - l'armonia del suo visino delicato, ovale, pallidissimo, de i suoi / p. 29 / occhi azzurri, liquidi, lucenti come la superficie di un lago tranquillo, il naso roseo, un po' aquilino, non era rotta che da la bocca prominente, rossa, eccessivamente rossa, la quale metteva una nota di calda sensualità in quella casta figurina verginale. 
 Ella si guardava ne lo specchio, contraeva le ciglia<,> si figgeva, insistentemente, acutamente, li occhi ne li occhi, come per ipnotizzarsi. 
 Ed - in questa fluidizzazione [7] di sé stessi per sé stessi - li occhi cambiavano stranamente: s'oscuravano, divenivano turchini, metallici, scintillanti. 
 Ella si magnetizzava [7], si suggestionava da sé. 
 Si scosse finalmente, uscì da la camera; in un salotto lasciò la lampada notturna, ne prese una a petrolio, I'accese; ed, a piccolì passi, di nuovo attraversò l'appartarnento, e di nuovo si fermò su la soglia de la stanza di lui. 
 La porta era sempre socchiusa; a la luce intensa de la lampada a petrolio, il filo luminoso, fuggente, da la fessura, non si scorgeva; si udiva, solo, un respiro calmo, regolare; certamente esso dormiva tranquillo. 
 

***

 Ella sospinse la porta, che mandò un lieve gemito; entrò: leggermente, felinamente si accostò al letto. Le cortine erano aperte, la luce viva penetrò. 
 Il viso bianco del dormente ne fu tutto illuminato. 
 Il bel capo biondo posava stanco su la batista [8] candida; una voluttuosa striscia azzurrastra correva sotto le palpebre, mollemente abassate; tra i serici peli dorati de la barba e de i baffi si vedeva la bocca socchiusa, bellissima, rossa, perfettamente modellata. 
 Una contrazione nervosa agitava li angoli de le labra increspando, ad intervalli, le guance, fin su, a i lati de li occhi, a la fronte - la contrazione era lievissima, era un impercettibile fremito di nervuzzi a fior di pelle. 
  

***

 Ella lo guardò, lo fisò lungamente: un fuoco strano ne li occhi immobili. 
 Poi si raddrizzò, evitò [9] nervosamente la lampada, versò del petrolio su le coltri, vi diede fuoco e fuggì.
 

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti.
Note 

[1] Il testo l'ho trascritto dalla riedizione del 1903 pubblicata come: Cav. Marino (sic) e Giorgio Cattellani, Amori illeciti (Il trionfo della carne), Bideri, Napoli 1910, pp. 25-29, la cui scansione mi è stata mandata da Luca Locati Luciani, che ringrazio. 
Non ho notizie sull'autore, però la Rete registra un suo necrologio nell'agosto 1902. 

L'edizione originale dovrebbe però essere (salvo smentite) quella priva d'indicazione di editore (Napoli 1893), edita come: Giorgio Cattellani,  Il trionfo della carne, ovvero: Turpi amori, che ho consultato alla Biblioteca nazionale centrale di Roma. 
Il libro, incredibilmente, ebbe una riedizione nel 1898 (tipografia Bideri, Napoli: una copia è alla Biblioteca universitaria di Catania) e ancora una nel 1903 (Bideri, Napoli, alla Biblioteca nazionale di Firenze), oltre a questa nel 1910. (Confesso di avere il dubbio sul fatto che l'edizione del 1893 e quella del 1898 siano la stessa, visto che si fa presto a trascrivere male un 3 per un 8. La cosa andrà verificata, come andrebbe verificato pure se le Novelle scostumate, pubblicate postume (Romano, Napoli 1908) siano o meno un'ulteriore ristampa di quest'opera).  
Infine, avevo già ripubblicato il testo col titolo Turpi amori sul mensile gay "Babilonia" nel marzo 1989. 

Ho ovviamente mantenuto la bizzarra ortografia originale, correggendo solo alcuni refusi palesi ("é" al posto di "e", "asciare" al posto di "lasciare", "sè" al posto di "sé", "luoco" al posto di "fuoco"). 

L'interesse del brano consiste nel modo esplicito in cui teorizza che una persona che si dia a rapporti omosessuali, specie se nel ruolo "passivo", non merita il nome di "essere umano": è talmente ignobile, talmente al di là della razza umana, da meritare solo la morte. 
E non sfuggirà come in questa novella sia ripresa la tradizionale punizione di bruciare vivo il reo, come fecero i roghi per oltre un millennio. 
Oggi che gli omofobi sono costretti a una qualche prudenza (qualsiasi dichiarazione omofobica inizia ormai con la frase "Io non ho niente contro gli omosessuali. Ma...") si assiste di rado a una presentazione tanto diretta dell'ideologia omofobica. Forse sono rimasti solo i leghisti e gli extracomunitari a trovare "naturale" esprimere in modo "puro" il punto di vista contenuto in questo racconto. Un punto di vista che in alcune nazioni europee dell'Est e in gran parte del mondo non occidentale è tuttora espresso nella forma contenuta in questo racconto: gli omosessuali sono mostri, non esseri umani, e quindi non meritano di vivere. 
Ciò detto, anche esprimere questi concetti in modo "gentile" anziché diretto e immediato, non cambia i termini del problema: si tratta sempre di omofobia. 

[2] Il termine "ermafrodito" indica qui ciò che oggi definiremmo con il termine "bisessuale" (che all'epoca era ignoto). Ma certo allude anche al fatto che il marito ricopre il ruolo passivo, dunque "femminile", pur avendo un corpo maschile.  
In ciò c'è la chiara eco della concezione del "Terzo sesso", tipica dell'Ottocento, secondo la quale l'omosessualità maschile era una condizione che mescolava caratteri maschili (il corpo) e femminili (la psiche). 
Si noti infine che alcuni autori ottocenteschi definirono la bisessualità "pseudo-ermafroditismo psichico". 

[3] Nelle famiglie ricche (e dalla descrizione dell'immenso appartamento, questa del racconto lo è) era costume che il signore e la signora dormissero in stanze separate. Inoltre la servitù viveva nella casa dei padroni (il che spiega la presenza del "cameriere" a tarda notte). 

[4] Tendaggi. Nelle gelide case antiche si mettevano tendaggi tutt'intorno al letto (più o meno sontuosi, a seconda della ricchezza dei proprietari) per conservare il calore durante la notte. 

[5] Intende dire: se avesse scoperto che, essendo omosessuale, almeno fosse lui l'attivo... 

[6] Sottitende: tradendolo a sua volta. All'epoca non esisteva il divorzio. 

[7] Ipnotizzazione. Le teorie di Mesmer, che aveva lanciato l'ipnosi nel XVIII secolo, la spiegavano con un "fluido" o flusso (detto appunto "flusso mesmerico"), collegandola a un presunto "magnetismo animale". 

[8] Tessuto di lino finissimo. 

[9] "Svitò". (Non sapendo se sia un refuso o solo una forma desueta non ho corretto la parola).


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