Il Padre Siccia [1]
Interlocutori: [2]
Camera
del Padre Siccia con porta chiusa
Padre Siccia
Sentimi…
Pipuzzo
A questo
prezzo
ascoltarvi
non posso [3].
Padre Siccia
Io ti scongiuro
per quel
ch’ài di più caro, anima mia,
compiàcimi.
Pipuzzo
Di che?
Padre Siccia
Che tu m’ascolti,
che mi lasci
parlar: sì, questo almeno
concedimi,
e dipoi
dimmi, libero
sei, quel che mi voi.
Pipuzzo
Lo permetto,
ma prima
àprasi
quella porta.
Padre Siccia
E l'esser
chiusa
qual'ombra
ti darà?
Pipuzzo
Camera è
questa
di monaco:
noi soli,
voi frate,
io giovinetto,
e non volete
che mi dia sospetto?
Padre Siccia
Quanto sei
scrupoloso! Io non approvo
cotanta [4]-austerità.
Pipuzzo
Sensi-[5]
son questi,
che voi saggio Maestro,
m'insegnasti
finor.
Padre Siccia
Si, lo confesso,
ma usarli
ancor con me, quest'è un eccesso.
Orsù,
siedi per poco,
ed attento
mi ascolta [6].
Ah! Perché
mai
t'arrossisci
nel viso
e stupito
mi guardi? Hai tu si puoche
prove di
me, che dir ti possa mai
cose di
tuo spiacer-[7]?
Sentimi, e quieta
il commosso
tuo spirto, e lieto attendi [8]
a quanto
io ti dirò… Dimmi (ti è noto,
negar nol
puoi) se ti ricordi… Ah parmi
ieri, e
pur son tre lustri! [9]
quando su
queste braccia
mi crescesti
bambin?
Pipuzzo
Tutto rammento.
E mi sembra
pur or: sugl’occhi ho ancora
quanti teneri
baci
m’imprimeste
sul viso
con quei
tumidi labbri, ed ogni bacio
rammento
ancor, ch’era sì lungo e greve
ch’io mi
sentiva il fiato
dai polmoni
tirar: rammento ancora
le carezze,
e la mano
che in braccio
mi tenea, sempre del mio culo
le natiche
a palpar…
|
Un frate
confessa un adolescente. Incisione tardo-settecentesca.
|
Padre Siccia
Ah per la
gioia
mi sento
morir! Godo che tutto
rammenti
a parte a parte.
Pipuzzo
E ben, per
questo [10]?
Padre Siccia
Sentimi,
figlio, e lascia dirmi il resto.
Già
ti rammenti adunque
quai principii
ha il mio amor; sin dalle fasce
conobbi
ed ammirai
queste belle
sembianze. E forse errai?
(lo
accarezza)
Pipuzzo
Ma, padre
mio, che giova,
ridirlo,
se lo so?
Padre Siccia
Scrupoli?
Addio, (s'alza)
non parlo
più. Così finir la lite
dovea, io
lo previdi.
Pipuzzo
E via, seguite.
Padre Siccia
Crescesti,
e così fino (siede)
così
amabile e grato,
ch’io, se
lo vuoi saper, sera e mattino
aveva tentazion
per quel tondino;
e ottener
lo potea; tanta in quel tempo
sopra il
tuo cor d’autorità tenea.
Ma la tua
nol permise
tenera età,
ma che poteva allora
se fraschettino
insano
di latte
ti fetea la bocca e l’ano?
Or mentre
in questo stato
tempo aspetto
miglior, ecco a lasciarti
costretto
io parto. Ah chi ridirti allora
potrebbe
il mio dolor? In queste arrivo
etnee
contrade, e qui il soggiorno ho fisso [11].
Qui chi
può dirti quanto
ho sofferto
sinor? La rete stendo
su i migliori,
e li prendo. Io della preda
contento
esulto; non sapea meschino
il nuovo
stil di questi
ingrati
bardassoni-[12].
Al
primo aspetto
affabili
ed amici
li trovo,
me gli accosto, e poi, secondo
il mio costume
usato,
m’insinuo
a puoco a puoco:
qual son
mi svelo, non trovai durezze
anzi proclività:
navigo in porto,
dicea tra
me. Così la mente io pasco
di future
speranze. Ardo frattanto
di libidine
ognor; un detto, un cenno
or dubbio
ed or palese
dimostro;
or colla mano
palpo, accarezzo,
insisto: anzi di loro
me ne stuzzica
ognun, m’istiga. Allora
replico
i colpi, e m’abbandono. Indegni!
Potresti
mai supporti
nel vederli
sì affabili ed umani,
poi nel
miglior scapparmi dalle mani?
Senza profitto
adunque
buggiaron
mi divulgo, e da per tutto-[13]
va la garrula
fama
ripetendo
il mio nome: e nasce a ognuno
di vedermi
il prurito,
e son da
tutti dimostrato a dito.
Miser, che
far potea? Fu mia ventura
l'esser
monaco allor, che di lor baie
alzando
al teschio toso
la duplice
cuculla
chiudea
l’orecchie e non sentiva nulla [14].
Quindi, escluso
da lor, volgo la mente
all’infima
plebaglia. Il mio costume,
o la necessità
fosse, o il desio,
con poch’esca
vi arriva,
e tirai
ognor dei buoni pesci a riva.
Un frutto,
un pomo, un fico, o noce dura
io v’impiegava,
ma con molta usura.
Fra cotanta
abbondanza
lieto io
vivea quasi in mio centro, e il cazzo
altro d’allor
non feo
che pascersi
ogni dì, di cul plebeo.
Pipuzzo
Voi m’avete
confusa
la mente,
o Padre Siccia,
il pelo
a tanto orror già mi s’arriccia [15].
Padre Siccia
Come? T’arriccia
il pel? Forse che udisti
draghi,
leoni colle fauci orrende
venirti
a divorar? Oh se sapessi
ciò
che al mondo si fa, ti sembrerebbe
questo ch’or
ti spaventa
o niente
affatto, o pure
leggerissimo
mal. A chi si ruba?
Chi
mai s’uccide-[16]?
A cui
la fama
si detrae? Eh via confessa,
persuàditi,
o figlio,
regola da
più grande il tuo consiglio [17].
Pipuzzo
Terminate
il discorso.
Padre Siccia
Ecco che
visto
o notato
vi son. Si sa per tutto
la mia tresca
lasciva, e quanto io futto,
questo fu
un nuovo inciampo
per me:
che nol sapesse
il mio Provincial [18]
temo e pavento.
Né
invan; poiché l’udìo
da penna
monacal: volea ridurmi [19].
in paese
lontano. Io, frapponendo
amici e
protettor, lo sedo a patto
ch’io più
non praticassi
l’usate
porcherie (così chiamando
l’innocente
piacer). D’allora in poi
mi son vissuto
oscuro,
spargendo
sempre la midolla al muro [20].
Ma eccoti
gli effetti
del provvido
destin, ch’ebbe pietate
di me: venisti
tu. Ah così bello!
Fuor d’ogni
mia speranza
sorpreso
ti mirai, che, allor Pipuzzo
giunse al
mio naso del tuo culo il puzzo.
Queste fur
le cagioni
per cui
sempre geloso
t’ho guardato
finor; come preziosa
gemma ti
custodii, ch’altri non voglia
rapirmela
di man. D’insidie occulte
t’ho scampato
e difeso. Io t’insegnai
come evitar
dovresti
dei compagni
malvagi
le pratiche
funeste,
e conservarti
in queste
illibato
il tuo cuor, come guardarti
dai lupi
frappatori [21],
i quali
tutto il giorno
biechi e
maligni ti si fanno intorno.
Vedesti il
mio gran zel: fuggi, ti ho detto,
fuggi ciascun
di lor, Pipuzzo amato,
per farti
cibo del mio sol palato [22].
|
Prete e
giovane. Incisione tardo-settecentesca.
|
Pipuzzo
A chi? Siete
in error.
Padre Siccia
Sarebbe
questo
per me forse
un delitto
di lesa
maestà?
Pipuzzo
Non lo farei,
a costo di morir.
Padre Siccia
Codesta
ammiro
tua gran
severità: ma tu non sai
che maggiormente
innamorar mi fai?
Pipuzzo
Ed io…
Padre Siccia
Che mal
vi fosse [23]?
Pipuzzo
E ad usar
m’indurreste
cotanta
oscenità, né arrossireste?
Padre Siccia
E che perciò [24]?
Pipuzzo
Io nel pensarvi
solo
gelo d’orror
Padre Siccia
L’apprensione,
o figlio,
ingrandisce
gli oggetti, e dove mai
non fur,
nascer li fa. Uno sfogo onesto
fra dei
teneri amici
chi mai
lo proibì? Siam orsi o lupi
o selvatiche
belve?
E pur entro
le selve ancor s’annida
genio, amore
e piacer, e tu non vuoi,
e ti fa
orror perché si trova in noi [25]?
Pipuzzo
Se questo
è ver, perché l’andare al tondo [26]
vietano
le leggi, e lo detesta il mondo?
Padre Siccia
Sempliciotto
che sei, né fino ad ora
ti sei avveduto
ancor che in apparenza
si vuol
così ma che spiando addentro
frate non
troverai, né sacerdote
che al cul
non scioglierà supplici note.
Pipuzzo
E si pecca
sì franco? È un simil fallo
empio, atroce
e nefando…
Padre Siccia
Oh che follia!
Taci, perché
non sai la Teologia.
Questa sì
bella usanza
da Sodoma
abbruciata
fu sodomia
chiamata:
ma perché
sia peccato
io non capisco
ancor.
Sì:
l’adulterio è tale
che sia
dal ciel punito,
la fede
coniugale
viene a
tradirsi allor [27].
Sta il gran
peccato espresso
nell’accoppiarsi
insieme
diversità
di sesso [28];
ma se si
sparge il seme
tra l’uomo
e l’uomo istesso,
che ciò
non <sia> permesso
portami
un argomento,
una ragione,
ed io
questo cular
desio
discaccerò
dal cor.
Pipuzzo
<
(Fra sé) > (Quali scosse son queste
per la coscienza
mia! Io a poco a poco
comincio
a vacillar). E ben si voglia
lecito un
tale eccesso,
ma una legge
poi
ei non si
fa per obbligar pur noi [29]?
Padre Siccia
Ecco la
legge: io già ti ho colto in punto
che non
puoi replicar. Dell’amicizia
legge più
santa e giusta
forse si
dà? Si può trovar nel mondo
vincolo
più tenace
della vera
amistà? Questa ti astringe
questa lo
vuol, che le dirai [30]?
Pipuzzo
Le dico
che non
è buggiarone
un vero amico.
Padre Siccia
E ancora
insisti, e ancora
vuoi farmi
spasimar? D’onde in te nasce
cotanta
crudeltà? Libico serpe
o pur nimeo
leone
tua madre
ingravidò? O tigre ircana [31]?
Non è
gran fatto al fine [32]
se compiaci
un amico
che ti serve
fedel; che i giorni suoi
sagrifica
con te; che per te solo
patria,
amici, parenti
non cura,
non distingue e non rispetta.
Ho tutti
abbandonato
per unirmi
con te; l’odio di tutti
per te son
divenuto,
ed or… barbaro
fato!
Che più
mi resta? Oimè! Son disperato.
(s’alza)
Pipuzzo
Sedete,
così presto
Vi scaldate?
Padre Siccia
E forse
non mi scaldo
a ragion? Per tutto [33]-io
servo,
per tutto
io vò, si tratta
disfar la
vita mia?
Io non la
curo. E poi
se un frivolo
dimando
ridicolo
piacer, tè, Padre Siccia,
che l’ottenesti
pur! [34]-Io
per tutt’altro
giovo, assisto,
fatico, e sol per questo
dunque son
io mal buono?
Dunque così
ricompensato io sono?
Pipuzzo
Ah!
Padre Siccia
Tu sospiri?
Forse
di pietà
sarà segno
questo tuo
sospirar?
Pipuzzo
Né
di pietate
è
segno, né di amor. Il meritato
del ciel
supplicio io miro
alla superbia
mia, perciò sospiro.
Qual tortorella
audace
spiegai
tropp’alto il volo
per evitar
lo stuolo
degli empii
cacciator.
Né
vidi il mio periglio
che per
volar tant’alto
mi diedi
nell’artiglio
del nibio-[35]-rapitor.
Padre Siccia
Che ingratissimi
sensi [36]
son questi,
o figlio! Dunque il nibio io sono?
Ah! Se così
mi dici
vuoi trafiggermi
il cor. Ah! Se tu fossi
dentro il
mio petto per vederlo, ingrato,
come avvampa
per te, forse quell’alma
sì
rigida e severa
si desterìa
a pietà. Qual fallo è il mio,
se tu sei
bello, e la bellezza tua
m’abbaglia,
mi sorprende,
e ad amarti
mi tira?
Son forse
delinquente,
se il genio [37],
il mio costume,
la debolezza
mia
mi trascinano
a te? È mia la colpa
se tu porti
nel cul sì bella polpa?
Aggiungi
a questo ancor l’innata al culo [38]
mia gran
proclività; dei tempi andati
il critico
tenor; le ardenti brame
che mi apporta
il digiun; l’averne al fianco
la ria tentazion;
tu bello, ed io
tutto genio
per te, tutto grato e fino,
tu per me
tutto amore,
io buggiaron
di cuore.
Colla preda
alle mani,
col boccon
sulle labbra,
con te…
Eh via spietato
vuoi ch’io
sia di macigno, un tronco, un marmo
senza carnalità?
Saresti, dimmi,
inflessibile
ancor? Non ti sei reso?
Taci, e
mi guardi ancor? < (Fra sé) > (il
pesce è preso).
Su su non
ti arrestar; brevi momenti
saranno,
il tempo, il luogo
cospirano
con noi. Siam soli; ah vieni,
vieni, mostrami
alfine
l’illibato
tuo cul! Che tardi? Eh via
sciogli,
sciogliti il laccio, anima mia.
Non ti spaventi,
o figlio,
del cazzo
il grande artiglio,
ricordati
che sei
in man d’un
professor [39].
Pipuzzo
Ecco disciolto
il laccio,
il cul senz’altro
impaccio,
ma sol pavento…
Oh Dio!
che affanno,
che rossor!
Padre Siccia
Calati,
o mio bel Nume,
e lascia
a questo cazzo
di quel
tondino implume
le crespe
discrepar.
Pipuzzo
Ahi!
Padre Siccia
Se cominci
adesso…
Lascia ch’io
l’introduco.
Pipuzzo
Se non è
questo il buco.
Padre Siccia
Ho traveduto
è ver.
Pipuzzo
Deh più
leggiero il moto.
Padre Siccia
Il mio mestier
mi è noto.
Pipuzzo
Mettete,
aimè, saliva.
Padre Siccia
Zitto, il
parlar mi priva…
mi scema
il gran piacer.
Pipuzzo
Ahi che
dolore! Io manco.
Padre Siccia
Il cazzo
entrò sì franco
e tu ti
lagni ancor?
Pipuzzo
Ahi…
Padre Siccia
Non temere.
Pipuzzo
Io moro
Padre
Siccia
Lasciami,
o mio tesoro,
lasciami
cazziar [40].
Pipuzzo
Ah che fatal
momento!
Padre Siccia
Che dolce
e bel contento!
Pipuzzo
Che rabbia,
o Dei, che noia [41]!
Padre Siccia
Ah che piacer,
che gioja!
Pipuzzo
Affanno
più tiranno
io non provai
finora.
Padre Siccia
Ah di dolcezza
ancora
io manco,
e di piacer.
Padre Siccia
e Pipuzzo
Su venite,
o Bardassoni,
se volete
co’ coglioni
tutto il
cazzo in culo aver-[42]. |
L'autore ringrazia
fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati
su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà
eventuali errori in essa contenuti. |
Note
[1]
Da: Domenico Tempio, L'opera erotica, Tringale, Catania 1983, pp.
324-334.
Scansita
e inviatami da Gaetano
Zingàli di Catania, che ringrazio.
Fra
le poesie del catanese Domenico
Tempio, tutte in dialetto siciliano, spicca questa "Padre Siccia"
in italiano.
C'è
un gioco malizioso da parte di Tempio, che inverte la regola che voleva
l'italiano riservato alle innocue pastorellerie e il dialetto destinato
a opere "non rispettabili".
"Padre
Siccia" è infatti la storia per nulla rispettabile della
seduzione, da parte di un frate pedofilo, di un pupillo quindicenne.
Il
nome del frate, "Siccia" ("seppia"), è probabilmente una maliziosa
allusione a purpu/puppu, "polipo", il termine comunemente usato
anche oggi nel dialetto siciliano col significato di "frocio".
A
mio parere il nome potrebbe essere soprannome di qualche personaggio davvero
esistito, dato che Tempio si preoccupa di farci sapere che egli vive proprio
a Catania (in "queste (...) etnee contrade / e qui il
soggiorno ho fisso") e ne ripercorre la carriera. Che oggi a noi non
dice nulla, ma che in un'epoca in cui "i paesi erano piccoli" e "la gente
mormorava", equivaleva a scriverne il nome e cognome.
Quanto
al motivo per cui nacque questo interessante documento, va notato in primo
luogo che Tempio fu educato in seminario e che, come molti che come lui
ne sono usciti disgustati, aveva probabilmente qualche conto da regolare.
Oggi
lo scandalo
sempre crescente della pedofilia fra i sacerdoti (e nei conventi) cattolici
ci mostra quanto e da quanto tempo le gerarchie siano incapaci di tener
testa alle molestie sessuali in primis fra le loro stesse file.
In
secondo luogo il brano appartiene a pieno titolo alla letteratura anticlericale
che precedette e seguì la Rivoluzione francese.
Anzi,
nell'utilizzare la macchietta stereotipata del monaco sodomita Tempio
esagera, facendo del suo personaggio un mostro che fatica a trattenersi
dallo stuprare persino i neonati. Artisticamente, questa greve caduta di
tono è una stonatura.
Inoltre,
se da un lato questa composizione ci tramanda un interessante elenco delle
argomentazioni che poteva mettere in campo un "sodomita" del tardo XVIII
secolo, a un certo punto Padre Siccia si lancia in ardite affermazioni
tipicamente "libertine", cioè antireligiose.
Alcune
delle affermazioni di Padre Siccia non sono infatti solo immorali, ma anche
apertamente eretiche, il che mina la "credibilità" del personaggio
come sacerdote cattolico "tipico": Padre Siccia sarà un frate cattolico,
ma parla come un anticattolico!
Il
personaggio di Padre Siccia offre insomma un riassunto di tutto
l'armamentario a disposizione di un sodomita della sua epoca per sedurre
un ragazzo (che non si fatica immaginare appreso di persona da Tempio nell'adolescenza).
Passiamo così dall'untuosa esaltazione cattolica dell'"amicizia"
(tuttora in voga in quegli ambienti) al secco razionalismo libertino che
nega che il sesso sia peccato, in un allegro minestrone in cui alla fine
l'argomento che la spunta sarà comunque un altro: il ricatto
del potere.
Siccia
infatti minaccia velatamente all'adolescente la perdita della posizione
favorita che egli come suo educatore gli ha garantito fin lì, se
non cede. E il ragazzo cede...
Il
potere è del resto lo strumento che ha permesso fin lì al
padre di abusare dei ragazzi "plebei", la ragazzaglia che ieri come oggi
poteva essere comprata per fame: "un frutto, un pomo, un fico",
come avrebbe scoperto di lì a poco il
turismo (omo)sessuale nordeuropeo, che nella Sicilia
avrebbe trovato un "paradiso di amori greci"...
Il
potere... Non a caso, tenendo conto delle possibilità di
abusarne, la legge italiana fissa oggi l'età del consenso a 14 anni,
a meno che il partner più adulto non sia maestro, istitutore,
sacerdote o comunque superiore del partner più giovane, nel qual
caso sale a 18 anni.
Oggi
Siccia ci è indubbiamente molto più odioso come persona che
abusa del suo potere che come prete, anche se temo che Tempio non
la vedesse affatto così... Tempio infatti non mise mai in discussione
la "giustezza" dei rapporti di potere eterosessuali: dalle sue poesie eterosessuali
emerge che a lui andavano bene così, da bravo maschio siculo d'una
volta.
Ma
va a suo merito la creazione d'un personaggio abbastanza "vero", abbastanza
ben delineato, da reggere come "personaggio" anche agli occhi di chi, come
me, non condivide il suo divertimento all'idea di aver dato del puppo
o arruso
ad un parrinu, o monacu che sia.
Allo
stesso modo il finale, che scade nel pecoreccio, immagino abbia suscitato
le risate dei lettori d'allora: provate a leggerlo in una caserma oggi
e immagino che l'effettaccio lo abbia ancora. Ma noi, oggi, al di fuori
di tali contesti pecoreccio-maschilisti, ne faremmo volentieri a meno.
Sarebbe bastata una frase, un "lo sventurato rispose" per rendere
chiaro il punto... ma Tempio non sa resistere allo scherno e all'ilarità
che gli atti dei buggiarruni suscitano fra i "maschi veraci". Peccato:
per un troppo facile applauso Tempio rinuncia ad accattivarsi sentimenti
meno facili da ottenere, come l'indignazione morale, che con tali mezzi
è decisamente poco probabile ottenere.
La
strizzata d'occhio di compiacimento degli ultimi versi rende infatti meno
credibile lo sdegno morale.
Ciò
detto, "Padre Siccia" resta un interessante documento di mentalità,
di storia della sessualità, ed anche un pamphlet divertente
nella sua capziosità. Il brano è particolarmente riuscito
nella descrizione del progressivo cedimento del ragazzo che si accorge
via via d'essere in trappola: è impossibile non simpatizzare con
lui e non desiderare una severa punizione per Padre Siccia.
Il
che era proprio quel che l'autore desiderava che desiderassimo.
Applausi.
[2]
Fin dall'indicazione di personaggi e dall'ambientazione si nota che questa
è una messa in scena teatrale in versi (all'epoca usavano) con tanto
d'indicazioni sceniche e "fra sé". Anzi, più che al teatro
occorrerà pensare all'Opera, laddove si nota che la versificazione
assume all'improvviso la regolarità piana tipica delle arie.
Con
ciò non intendo affermare che si tratti di un testo nato per essere
musicato: intendo solo indicare il referente culturale e stilistico a cui
si collega.
Nota
finale: le parole fra parentesi uncinate < > sono integrazioni mie.
[3]
Il brano inizia in medias res, come all'apertura improvvisa di un
sipario su una scena su cui gli attori stanno già recitando.
[4]
"Tanta".
[5]
"Consuetudini", "comportamenti".
[6]
"Ascòltami".
[7]
"Hai forse mai avuto occasione di sentirmi dire cose che ti dispiacciano?".
[8]
"Da' retta".
[9]
Quindici anni, appunto.
[10]
"E con questo, allora?".
[11]-Catania
e dintorni. "Etnea" è detta Catania perché a poca distanza
dal vulcano Etna.
[12]
I sodomiti del luogo. Bardassa è più propriamente
il sodomita passivo.
[13]
"Mi svelo imprudentemente dappertutto come sodomita attivo (buggerone)
e senza alcun vantaggio".
[14]
A me la descrizione di come il frate sia a poco a poco sulla bocca di tutti
per i suoi gusti, e poi la "barzelletta" di Catania, fa sospettare che
questo racconto sia la storia di un personaggio reale. Giudichi da sé
il lettore se tale mia convinzione sia plausibile o meno.
[15]
Noi oggi diremmo: "Mi si rizzano i capelli".
[16]
Interessante il parallelo coll'argomentazione esplicitamente "libertina"
del precettore nell'Alcibiade fanciullo a scola di Antonio
Rocco: "Sono naturali quelle opere a cui
la natura ci inclina, de' quali pretende il fine e l'effetto. Se adunque
è natural inclinazione veder de' bei fanciulli, come sète
voi contra natura? (...) Stimate voi la natura così improvida?
È forse ìnvida al nostro bene? Impoverisce ella nelle delizie
nostre? Gli si rubba cosa ch'ella non voglia? Se il tutto ha fatto per
noi, il tutto a sua gloria è ragionevole che si goda da noi".
(Antonio Rocco, L'Alcibiade fanciullo a scola, Salerno, Roma 1988,
p. 51).
Si
noti qui di passaggio l'"a cui?" ("a chi?") ricalcato sul
siciliano "a ccu"?
[17]
"Ragiona da adulto".
[18]
"Il mio superiore".
[19]
"E non invano, perché un monaco mi denunciò ed egli voleva
esiliarmi in un paese lontano".
Questi
dettagli minuti sono irrilevanti per la narrazione, e questo è un
altro motivo che mi ha spinto a sospettare che qui Tempio stia descrivendo
"per nome e cognome" un caso preciso.
[20]
Nella medicina premoderna si riteneva (ovviamente a torto) lo sperma un
"distillato" dalla parte più "sottile" degli "umori" del corpo (da
qui la definizione di "midolla" usata da Tempio).
[21]
"Lupi ingannatori".
[22]
Ancora un argomento polemico "libertino". Così già nel processo
a Francesco Calcagno (Brescia, 1550): "san
Paulo, et li altri che lo [= il vizio della sodomia] detestavano,
che cossì faceva [facevano], per che forsi la ge piaceva
[forse piaceva a loro] più che alli altri". Cfr. Giovanni
Dall'Orto, "Adora più presto un putto, che Domenedio", "Sodoma"
n. 5, primavera-estate 1993, pp. 43-55.
[23]
"Sarebbe".
[24]
"E perché mai?".
[25]
"Perfino tra gli animali selvatici han posto passioni, amore e piacere,
e a te fa orrore che si trovino fra noi uomini?".
[26]
Sodomizzare.
[27]
"L'adulterio sì che è punito dal Cielo, perché tradisce
la fedeltà coniugale".
[28]
Peccaminoso, insomma, secondo padre Siccia, è solo il rapporto eterosessuale!
Qui
siamo evidentemente nel paradosso comico, ma argomentazioni
non meno capziose proponeva nel 1708 il sacerdote e precettore Giuseppe
Beccàrelli studiato da Stefano
Bolognini.
[29]
"Ebbene, diamo pure per scontato che questo eccesso sia lecito, ma non
siamo comunque tenuti a rispettare la legge?".
Questa
frase collocherebbe la poesia negli anni precedenti all'introduzione del
Codice napoleonico
nel Regno delle Due Sicilie, che abolì il reato di sodomia. Ma ovviamente
questo è solo un indizio.
[30]
"Ecco la legge: ti ho "beccato" su un punto sul quale non puoi più
replicare. Esiste forse una legge più santa e giusta dell'amicizia?
Esiste forse al mondo un legame più tenace della vera amicizia?
Essa ti costringe, essa lo vuole: che le dirai?".
La
tendenza a confondere "amicizia" e (omo)sessualità è
ben viva ancora oggi, nella cerchia dei cattolici omosessuali (dichiarati
e, soprattutto, non dichiarati).
[31]
"Sei così spietato perché tua madre è stata ingravidata
di te da un animale selvaggio?" (nimeo = "nemeo", come il mitico
leone ucciso da Ercole).
[32]
"Non è poi questa gran cosa, alla fin fine".
[33]
"Dappertutto".
[34]
Qui il tono si fa colloquiale: "Tiè, padre Siccia, ecco come
l'hai ottenuto!"
[35]
"Nibbio", "uccello rapace".
[36]
"Sentimenti", "ragionamenti".
[37]-Genio
vale "gusto", "tendenza", inclinazione" (ancor oggi "mi va a genio" = "è
di mio gusto"). Padre Siccia ha un "genio", un gusto "innato", che lo spinge
verso i ragazzi. Oggi diremmo: "ha una tendenza omosessuale".
[38]-Ulteriore
specificazione: questa tendenza è "innata". Tempio non sapeva
che, secondo quanto prescrivono
oggi gli storici gay "costruzionisti", fino al 1869 nessuno
sapeva che l'omosessualità fosse una "tendenza innata", perché
nessun medico aveva ancora stabilito che fosse tale. Che ignorante!
[39]
"Professionista".
[40]
Palese sicilianismo (cazziari), qui però nel significato
osceno originale, e non in quello traslato di "divertirsi"; "bighellonare"
che ha oggi l'italiano "cazzeggiare".
[41]
"Noia" è qui usato col senso di "disgusto".
[42]
Il modello dell'Opera è più palese che mai in questo incongruo
"tutti" finale. |