Da: Le lai de Lanval
[1170 ca.] [1]
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(...)
vv. 259-268
Quant la reïne sul le veit,
al chevaler en va tut dreit;
lunc lui s'asist, si l'apela,
tut sun curage li mustre:
"Lanval, mut vus ai honuré
e mut cheri e mut amé.
Tute m'amur poëz aveir;
kar me dites vostre voleir!
Ma drüerie vus otrei;
mut deviz estre lié de mei". |
(...)
vv. 259-268
Quando la regina lo vide solo,
andò dritto dal cavaliere;
gli sedette accanto, lo chiamò per nome,
tutto il suo cuore gli aprì:
"Lanval, molto vi ho onorato,
e molto avuto caro e molto amato.
Tutto il mio amore potete avere;
ditemi ora il vostro volere!
Vi offro di esservi amante;
molto dovete essere contento di me". |
vv. 269-278
"Dame", fet il, "lessez m'ester!
jeo n'ai cure de vus amer.
Lungement ai servi le rei;
ne li voil pas mentir ma fei.
Ja pur vus ne pur vostre amur
ne mesf[e]rai a mun seignur".
La reïne s'en curuça,
irie fu, si mesparla.
"Lanval", fet ele, "bien le quit,
vuz n'amez gueres cel delit; |
vv. 269-278
"Signora", disse lui, "lasciatemi stare!
Io non mi curo di amare voi.
A lungo ho servito il re
non voglio tradire la mia fedeltà.
Né per voi né per il vostro amore,
farò torto al mio signore".
La regina se ne corrucciò,
si adirò, e così inveì:
"Lanval", disse lei, "lo credo bene:
voi non amate quel gioco; |
vv. 279-288
asiz le m'ad hum dit sovent
que des femmez n'avez talent.
Vallez avez bien afeitiez,
ensemble od eus vus deduiez.
Vileins cuarz, mauveis failliz,
mut est mi sires maubailliz
que pres de lui vus ad suffert;
mun escïent que Deus en pert!".
Quant il l'oï, mut fu dolent;
del respundre ne fu pas lent. |
vv. 279-288
mi hanno detto spesso
che non avete il gusto delle donne.
Avete valletti ben azzimati:
è assieme a loro che vi divertite.
Villano codardo, malvagio sleale,
molto è a mal partito il mio re
che accanto a sé vi ha sopportato;
così è, che Dio mi perda!".
Quando lui udì ciò, ne fu molto afflitto;
a rispondere non fu lento. |
vv. 289-298
Teu chose dist par maltalent
dunt il se repenti sovent.
"Dame," dist il, "de cel mestier
ne me sai jeo nïent aidier;
mes jo aim, [e] si sui amis
cele ke deit aver le pris
sur tutes celes que jeo sai.
E une chose vus dirai,
bien le sachez a descovert:
une de celes ke la sert, |
vv. 289-298
E per sdegno disse cose tali
da farlo poi pentire spesso.
"Signora", disse lui, "quel mestiere
non so neanche come si fa a farlo;
ma io amo, e le sono molto amico,
colei che vince il primo posto
fra tutte coloro che conosco.
E una cosa vi dirò,
sappiatelo bene chiaramente:
una di coloro che la servono, |
vv. 299-308
tute la plus povre meschine,
vaut meuz de vus, dame reïne,
de cors, de vis e de beauté,
d'enseignement e de bunté".
La reïne s'en part atant,
en sa chambrë en vait plurant.
Mut fu dolente e curuciee
de ceo k'il [l']out [si] avilee.
En sun lit malade cucha;
jamés, ceo dit, ne levera, |
vv. 299-308
la più povera meschina fra loro,
vale più di voi, signora regina,
di corpo, di viso e di beltà,
di cortesia e di bontà".
A udire tanto la regina partì,
in camera sua andò piangendo.
Molto l'addolorò e corrucciò
che lui l'avesse tanto avvilita.
Nel suo letto si coricò malata;
mai, disse, se ne sarebbe alzata, |
vv. 309-310
si li reis ne l'en feseit dreit
de ceo dunt ele se pleindreit.
(...) |
vv. 309-310
se il re non avesse reso giustizia
per ciò di cui si sarebbe lagnata.
(...) |
Re e cavalieri - sec. XII - da Arles
L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti. |
Note
[1] Il testo qui riprodotto è quello online sul sito dell'Università del Manitoba.
La traduzione italiana è mia, riscontrata su: I lai di Maria di Francia, Chiangitore, Torino 1946, pp. 154-157. Esiste anche una traduzione più recente: Maria di Francia, Lais, Mondadori, Milano 1983, pp. 138-141.
L'interesse di questo brano, che descrive il cavaliere Lanval mentre respinge le avances della regina, sta nel fatto che costei reagisce affermando che se Lanval non accetta l'offerta sessuale d'una donna, è perché evidentemente preferisce i ragazzi.
Ora, tutta una scuola di storici gay americani ha teorizzato l'impossibilità, per il mondo antico, di concepire la dicotomia fra "amare le donne" e "amare gli uomini", sostenendo che solo nel XIX secolo sarebbe "nato" l'omosessuale come lo conosciamo oggi, cioè come una persona attratta esclusivamente dal proprio sesso.
Al contrario questo testo, al pari di molti altri, dimostra chiaramente che tale costruzione non ha fondamento nei documenti storici: per Marie de France chi non ama le donne ama gli uomini. Punto. Il "sodomita" non preferisce un atto sessuale (la sodomia) ad un altro (il coito in vagina), bensì preferisce un sesso all'altro.
Dunque abbiamo qui due "tendenze", due "talents" contrapposti: quelli che noi oggi chiamiamo "omosessualità " ed "eterosessualità".
Il fatto che i nostri avi non usassero le nostre parole, ma altre, per dire le stesse cose, non cambia nulla: qualcuno deve ancora spiegarmi perché i nostri avi avrebbero dovuto parlare la nostra lingua anziché la loro, com'è ovvio e logico che facessero... |