La severa condanna d'un giovanetto [29/10/1920] [1].
CORTE D'ASSISE
La severa condanna d'un giovanetto.
Trent'anni dì reclusione.
I personaggi di questa bieca tragedia senza lacrime interessano più cheo
i giurati, gli antropologi, gli scienziati psichiatrici e criminalogici,
in quanto che l'ucciso, il vecchio cuoco Stefano Muccinelli, era un
inveterato pederasta e l'uccisore, un giovanetto poco più che
diciottenne, il Bianchi Venerio
da Luco dei Marsi, dai periti dottori
Medea e Cerruti fu giudicato: «soggetto temporaneamente pericoloso,
appartenente a una categoria di ritardatari nello sviluppo psichico»,
che, più del carcere
punitivo avrebbe bisogno di lunga osservazione e di molte cure
mediche.
Il Bianchi, falegname, profugo triestino, solo, sperduto
nella grande metropoli tumultuosa, conobbe il vecchio cuoco
al bar Vittorio Emanuele. Vi si recò il Muccinelli perché sapeva —
ed era noto — che quello era il luogo di ordinario convegno degli «atleti», degli «sportsmens» (sic) [2]?
Certo è che il
vecchio degenerato
offrì alloggio, e protezione al giovanetto per piegarlo alle sue
turpitudini. E il Bianchi divenne schiavo del suo... benefattore,
finché una notte, dal 4 al 5 gennaio di quest'anno, il giovanetto
che non sapeva trovar la forza né di ribellarsi né di fuggire [3] e che, abrutito dalla consueta lordura e accecato dallo schifo,
aveva perduto ogni coscienza, colpì all'impazzata, con un pezzo
di legno trovato in terra, il vecchio dormiente, che non si svegliò più!
La vista del sangue valse a ridestar
l'omicida e a richiamarlo alla realtà. L'istinto di conservazione, di
liberazione gli suggeriva di fuggire, errare, vagabondare, per
sfuggire alla vendetta sociale; ma per fuggire occorreva aver
quattrini, e il Bianchi per procacciarsene asportò dalla casa del
vecchio abiti, indumenti, due orologi.
Fu arrestato
il 14 febbraio ed ieri comparve davanti alla Corte, che
gli fece il processo a porte chiuse. Il P. M. chiese la condanna
a 30 anni, e benché il difensore avv. Fucigna, si fosso
battuto validamente chiedendo l'ammissione dell'omicidio
preterintenzionale, i giurati negarono all'imputato anche le attenuanti
e ritennero ch'egli aveva ucciso con premeditazione per rubare.
Il Bianchi, due volte condannato per furto, schivò l'ergastolo per la sua minore età [4], e fu condannato in seguito al severo verdetto a trent'anni di reclusione e alle conseguenti interdizioni.
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L'autore ringrazia fin d'ora
chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone,
luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà
eventuali errori in essa contenuti.
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Note
[1] Ho trascritto il testo da: Anonimo, La severa condanna d'un giovanetto. Trent'anni di reclusione, "Avanti!", 29 ottobre 1920, p. 3. L'episodio qui narrato è avvenuto a Milano.
[2]
L'autore dfel pezzo vuole ad ogni costo evitare di presentare
l'assassino come un giovane che per vivere si prostituiva, in modo da
addossare l'intera colpa dell'accaduto alla vittima. Ma questo bar ha
l'aria del tipico locale che sdoppia il proprio ruolo con quello di
luogo d'incontri fra giovani muiscolosi e i loro clienti...
[3] L'assassino viene gabellato per una specie di fragile uccellino ipnotizzato nelle spire del depravato serpente. Come rivela anche la anche la scelta dell'asettico verbo "asportare"
per nominare lo svaligiamento della casa della vittima, e questo
nonostante il ragazzo avesse a carico già due condanne per furto!
[4] La maggiore età era allora 21 anni.
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