(Corte d'Assise di Torino).
(...) Il giorno dieci giugno
del corrente anno, un individuo elegantemente vestito presentavasi nella
bottega di certa Mino Carolina, moglie Rey [2],
in via Beinasco n. 9, per fare acquisto di caramelle, che pagò con
una moneta di due lire, ritirando il resto. Si accorse subito la Mino che
la moneta era falsa, ma prima che avesse potuto lagnarsene, lo sconosciuto
aveva oltrepassata la soglia.
Lo seguì la Mino senza
farsi scorgere, o vide che a lui si univa un altro giovanotto elegante.
Giunti in via Borgo Dora, l'individuo delle caramelle, lasciato fuori il
compagno, entrava in un altro negozio. Indicati alle guardie, tanto l'uno
quanto l'altro furono tradotti alla Questura, dove si ostinavano a non
deferire le proprie generalità.
Perquisiti, nelle loro tasche
furono rinvenute altre monete false da lire due, ed i funzionari, malgrado
le copiose lagrime di uno di essi, si convinsero di essere in presenza
di falsi monetari [3],
o quantomeno di audaci spacciatori di falsa moneta. Avuta, da una lettera
trovata in tasca d'uno di essi, la conoscenza dell'abitazione di via Caluso,
fu ivi operata una perquisizione, che portò alla scoperta di una
vera e completa officina di falsa moneta, coi relativi stampi, metalli,
acidi, polveri, bagni di galvanoplastica, e vi erano altresì monete
non ancora finite, non sbavate, non argentate.
Di fronte a questa scoperta,
uno degli arrestati fece le più ampie confessioni e disse: «Mi
chiamo Rocchi Achille ed il mio compagno ha nome D'Ettorre Quirino.
Ambidue siamo romani e fummo nel plotone allievi sergenti nell'artiglieria
da fortezza. Congedati, dopo varie peregrinazioni a Napoli e a Milano,
arrivammo a Torino in aprile. Io, Rocchi, solo però fabbricai le
monete ad insaputa del D'Ettorre, il quale solo due giorni fa seppe la
triste cosa, o se meco fu trovato è perché esso mi seguiva
appunto perché io, che Io amo, per non comprometterlo desistetti
dalla mala azione; a tale scopo appunto si mise in tasca le false monete
rinvenutegli».
E mentre ciò il Rocchi
diceva, l'altro stemperavasi in un mare di lagrime! Interrogato esso pure
— dice la Questura — fece piena confessione anche il D'Ettorre. D'altra
parte sta il fatto che l'arsenale per la falsa moneta era nella camera
ove pure dormiva il D'Ettorre, che non ha potuto non vedere ed ignorare
quanto là dentro avveniva. Davanti al giudice istruttore ripeté
lo stessa cosa il Rocchi: continuò ad accusare solo se stesso, ed
alla famiglia del D'Ettorre scrisse giurando la innocenza dell'amico, il
quale invece si chiuse in un mutismo assoluto, mutismo che tutto lascia
supporre. È egli colpevole? È di buona famiglia ed egli stesso
fu molto tempo onorato assistente di farmacia.
Avvenne nelle carceri giudiziarie
uno straziante episodio. Il settimo giorno della sua prigionia il Rocchi
fu trovato in carcere colle vene del braccio segate in più punti,
ed abbondante, come accertò il certificato medico, ne ora defluito
il sangue; ciò aveva il Rocchi potuto fare coi cocci di un vetro
che aveva rotto alla finestra della cella. Colle vene tagliate, col sangue
suo il Rocchi decifrò sulla tabella delle orazioni una dichiarazione
ancora, scrisse e ripeté: «Giuro in punto di morte che il
D'Ettorre è innocente, lo giuro mentre tengo chiusa la vena che
mi sono tagliato e che riaprirò per morire dopo scritta questa pagina
dolorosa di verità per scongiurare la condanna di un innocente!»
A stento fu salvato il Rocchi
all'infermeria. Il giudice istruttore, impressionato, per scrupolo di giustizia
comminò al prof.
Lombroso una perizia sulle facoltà mentali dei due accusati.
E la perizia venne ed aumentò il mistero. E Lombroso notò
anzitutto che il D'Ettorre, bruno di capelli, questi si era tinti in rosso
rame con acqua ossigenata; ciò, disse il D'Ettorre, fu eseguito
per fare uno scherzo alla padrona di casa, mentre il Lombroso, conscio
che ciò avviene specialmente fra pederasti e donnaiuoli,
lanciò l'ipotesi terribile che fra i due accusati potessero correre
relazioni contro natura e che quindi null'altro che un malsano affetto
facesse sì che il Rocchi negasse la correità del ganzo per
salvarlo.
Accanitamente gli accusati
si ribellarono a questa ipotesi, ed il D'Ettorre grida la fiducia nella
sua innocenza.
Questo è il mistero
sul quale dovranno pronunziarsi i giurati nelle udienze del 12 e 13 corrente.
Recto e verso
di moneta da due lire in argento, 1905.
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Falsi monetari [4].
(Corte d'Assise di Torino
- 12 dicembre).
Già lungamente e diffusamente
abbiamo parlato di questo processo, in cui aleggia una specie di mistero.
Due giovani romani, amici intimi, furono sorpresi a spendere monete false
francesi. Essi furono qualificati per Achille Rocchi e Quirino
D'Ettorre. Entrambi da prima confessarono di battere moneta falsa;
ma poi, mentre il primo mantenne la sua confessione, il secondo, spalleggiato
dal Rocchi, incominciò a dire che era completamente allo scuro d'ogni
cosa, mentre si stemperava in un mare di lagrime.
L'accusa credettte di trovare
nell'abnegazione del Rocchi ad adossarsi tutta la responsabilità,
il sospetto di rapporti ignobili tra i due. Il Rocchi è di
buona famiglia romana; fu sergente d'artiglieria; è piuttosto loquace,
di facile gestire; biondo, alto o snello. Bruno, con piccoli baffi e sguardo
quasi pudico è il D'Ettorre, il quale è piuttosto silenzioso
e parla con voce che ha lieve timbro argentino [5].
All'udienza hanno continuato
nel contegno strano: il Rocchi, poi, che in istruttoria si sarebbe dichiarato
pregiudicato, ora apparirebbe invece mondo da colpe. Tolta questa leggera
ombra di mistero, la causa appare volgare e di nessun interesse.
Il perito prof. Ostorero
disse che nessun dato può precisare l'esistenza degli ignobili rapporti
tra i due imputati. Entrambi presentano però dei sintomi di degenerazione
per i quali la loro responsabilità può esser leggermente
diminuita. Calorose furono le arringhe.
Il processo terminerà
domani sera.
Presidente: Dusio; giudici:
Cantavola (?) e Della Chiesa; P.M.: avv. Forni; <difes>a: avvocati D.
Colombo e Roccarino; cancelliere: Buzzi; uff. giud.: Riccio.
Falsi monetari[6].
(Corte d'Assise di Torino).
Verdetto e sentenza.
I giurati ritennero l'Adolfo
Rocchi colpevole di contraffazione e spendita di monete false, ritenendolo
però di non facile riconoscimento. Lo ritennero ancora colpevole
di contravvenzioni per rifiuto di dare le proprie generalità. Gli
concessero il beneficio del reato continuato e delle attenuanti. Fu condannato
complessivamente (pel cumulo con precedente condanna) ad anni sei e mesi
tre di reclusione ed alla vigilanza per anni due.
Ritennero invece i giurati
il Quirino D'Ettorre complice nella spendita, senza previo concerto.
Esclusero il reato continuato: ammisero il rifiuto di dare le proprie generalità
ed accordarono le attenuanti. La Corte lo condannò ad un anno e
mesi otto di reclusione, alla multa di L. 168, all'ammenda di L. 25 ed
alla vigilanza per anni due.
Presidente: Dusio; P. M.:
Forni; Difesa: avvocati Colombo e Roccarino; cancelliere: Buzzi; usciere
giudiziario: Riccio.
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