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Poggio Bracciolini (1380-1459)
 
Poggio Bracciolini

Da: Facetiae  [1438-1452] [1].
107 Alia fabula per Angelottum dicta CVI Altra storia narrata da Angelotto

Aderat Angelottus, Episcopus Anagninus, cum haec Cincius recitasset, et alteram huic similem fabellam dixit:

"Affinis", inquit, "meus" (nomine eum appellans), "cum noctu urbe deserta perambularet, obviam mulierem, quam existimabat, et quidem speciosam forma, ut videbatur, cognovit.


Quando Cencio narrò quella storia, era presente Angelotto, vescovo di Anagni, e raccontò di un altro caso simile:

"Un mio parente", disse (e ne fece il nome), "una notte che passeggiava per la città deserta, incontrò una donna, a quanto credette, che gli parve anche bella, e con quella fece l'affar suo.


Tum illa, ad eum terrendum, in hominis turpissimi formam versa: 'Et quid egisti?' inquit, 'equidem te, insulse, decepi'.

Ed essa, dopo ciò, per spaventarlo, cangiata in aspetto di bruttissimo uomo: 'E che hai tu fatto?', gli disse. 'Per verità, io, sciocco, ti ho ingannato'

Tum ille: 'Ut lubet', intrepidus inquit, 'et ego tibi culum maculavi'[2].

Ed egli: 'Come ti piace', rispose franco, 'ed io t'ho macchiato il culo'[2].


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182 De quodam qui Romanum adolescentulum admodum laudavit CLXXXI Di uno che lodò grandemente un giovane romano

Romanum adolescentulum admodum formosum, sed honestate praeditum, certe deditum studiis litterarum, laudabat summopere quidam e nostris, formam moresque ejus multis verbis extollens. 

Uno dei miei amici lodava assai un giovane romano di bellissime forme, e oltre ogni dire virtuoso, che coltivava le buone lettere, e ne esaltava la bellezza e il costume.

Et cum plures in eum laudes congessisset, tandem: "Existimo", inquit, "Jesum Christum nostrum, cum id esset aetatis, nequaquam alia atque ista forma fuisse".

E infine, dopo averne fatte molte lodi: "Io penso", disse, "che nostro signor Gesù Cristo alla sua età non fosse altrimenti".

Ingens laus formae, ut qua nullam exquisitiorem neque Demosthenes, neque Cicero adinvenisset!

Enorme elogio della bellezza, che né CiceroneDemostene avrebbero saputo dire!


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Francesco Filelfo (1398-1481)
Busto di Francesco Filelfo,
188 Contra eumdem [Franciscum Philelphum] facetia CLXXXVII Facezia sullo stesso[3].

Tum alter non injucundus vir:

E allora sorse a dire un altro, che pure era uomo gioviale:

"Non mirum est", inquit, "si, nepos Jovis, gesta parentum imitatus, et alteram Europam rapuit, et alterum Ganymedem",

"Non è da meravigliarsi se [dicendosi] nipote di Giove egli abbia imitate le imprese del nonno, e abbia rapita un'altra Europa e un altro Ganimede".

denotans eum et virginem Graecam, Joannis Chrysolorae filiam, ab eo stupratam in Italiam advexisse, et quemdam adolescentem Patavinum ab eo propter formam in Graeciam advectum.

Il nostro amico ricordava con queste parole il ratto che Filelfo aveva fatto di una fanciulla greca, figlia di Giovanni Chrysoloras[4], che mandò poi in Italia quando se ne fu servito, e la storia di un certo giovinetto di Padova che per la sua bellezza egli aveva condotto con sé in Grecia.


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191 Facetia cujusdam qui subagitabat omnes de domo CXC Storia piacevole di un tale che si servì di tutta una famiglia

Florentinus quidam habebat domi juvenem, qui filios litteras doceret. 

Un fiorentino [5] aveva in casa sua un giovane che insegnava le lettere ai suoi figlioli. 

Is diutina consuetudine, primo ancillam, tum nutricem, deinde patronam, postremo etiam discipulos cognovit. 

Costui, colla continua dimora nella casa, ebbe prima la cameriera, poi la nutrice, quindi la padrona e finalmente gli stessi discepoli.

Hoc cum rescisset pater, erat enim homo perfacetus, vocato in secretius cubiculum juvene: "Postquam", inquit, "omnes meos subegisti (quod tibi vertat bene), ne quis excipiatur hac sorte, et me quoque subagites, volo".

Quando il padre, che era uomo molto gioviale, se ne accorse, chiamò segretamente il giovane nella sua stanza: "Poiché", gli disse, "vi siete servito di tutta la mia famiglia (e che buon pro vi faccia), [affinché nessuno sia esentato da questa sorte], voglio che ora di me stesso usiate" [6].

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti. 

Note

[1] Poggio Bracciolini, Le facezie, Rizzoli, Milano 1983 (testo latino e traduzione italiana a fronte).

La traduzione qui proposta è tratta (con qualche ritocco per modernizzare la lingua) da quella di autore ignoto, pubblicata dall'editore Sommaruga di Roma nel 1884 (di cui segue la numerazione delle facezie), e messa online sui siti Mori's humor pages e De bibliotheca.

Il testo latino è online su The latin library, e sulla Bibliotheca augustana e ne segue la numerazione, lievemente diversa.

Ho escluso la facezia numero 5 (De homine insulso qui existimavit duos cunnos in uxore), che parla di sodomia eterosessuale in modo non rilevante per il nostro tema.

[2] Se l'aneddoto è vero (ma tutte le "leggende urbane" iniziano con: "un mio amico, una volta...") al di sotto dell'interpretazione datane (un incontro col demonio succubus in panni femminili) abbiamo qui l'incontro notturno con un travestito (o transessuale che fosse)

[3] L'umanista rivale Francesco Filelfo (1398-1481).

[4] Nipote del celebre studioso greco Manuele Crisolora. Sua figlia, Teodora, in realtà fu moglie di Filelfo, sino alla morte.

[5] I fiorentini avevano fama di sodomiti. Dire "un fiorentino" in una barzelletta di allora era quindi come annunciare: "uno scozzese", in una barzelletta d'oggi  sull'avarizia.

[6] Ovviamente l'aspetto ridicolo della facezia sta nel fatto che il fiorentino riesce a unire l'utile al dilettevole, godendosi quello che a giudicare dai risultati era un gran bel ragazzo, e al tempo stesso punendolo delle sue trasgressioni, imponendogli il coito con una persona esclusa dallo standard di desiderabilità sessuale antico (donne e ragazzini).


Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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