Lex Dei, sive Mosaicarum
et Romanarum legum collatio / La
legge di Dio, ossia il raffronto tra leggi di Mosè e leggi romane
[390-428] [1]
.
2.5.4
Paulus
Iniuriae
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2.5.4
Paolo,
Le
offese
|
Fit
autem iniuria vel in corpore, dum caedimur, vel verbis, dum convicium patimur,
vel cum dignitas laeditur, ut cum matronae vel praetextatae comites
abducuntur. |
C’è violazione del
diritto o nel corpo, come quando siamo percossi, o nelle parole, come quando
siamo insultati, o nella lesione dell'onore, come quando una donna o un
adolescente
viene sottratto ai sorveglianti. |
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3.3
Ulpianus
libro octavo de officio proconsulis sub titulo de dominorum saevitia:
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3.3
Ulpiano,
Il còmpito
del proconsole, libro ottavo, col titolo: "La violenza dei padroni
di schiavi":
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3.3.1
Ulpianus
8 de officio proconsulis
|
3.3.1
Ulpiano, Il còmpito
del proconsole,
8 |
Si
dominus in servum saevierit vel ad inpudicitiam turpemque violationem
conpellat, quae sint partes praesidis, ex rescripto divi pii ad Aurelium
Marcianum proconsulem Baeticae manifestatur. |
Un
rescritto
del divino Antonino
Pio ad Aurelio Marciano, proconsole nella provincia Betica,
manifesta quale sia il dovere del protettore se un padrone infierisse su
uno schiavo o lo costringesse all'impudicizia e a un turpe stupro.[2]. |
3.3.2
Ulpianus
8 de officio proconsulis
|
3.3.2
Ulpiano,
Il còmpito
del proconsole, 8
|
Cuius
rescripti verba haec sunt:
"dominorum
quidem potestatem in suos servos inlibatam esse oportet nec cuiquam hominum
ius suum detrahi: sed dominorum interest, ne auxilium contra saevitiam
vel famem vel intolerabilem iniuriam denegetur his, qui iuste deprecantur". |
Le parole di tale rescritto
sono le seguenti:
"È
opportuno che il potere dei padroni verso gli schiavi sia senza macchia,
e che nessun uomo sia privato dei suoi diritti.[3]:
ma è interesse dei padroni che non sia negato l'aiuto contro le
sevizie, la fame o un'offesa intollerabile a coloro che giustamente lo
implorano". |
3.3.3
Ulpianus
8 de officio proconsulis
|
3.3.3
Ulpiano,
Il còmpito
del proconsole, 8
|
"Ideoque
cognoscere de querellis eorum, qui ex familia Iuli Sabini ad statuam confugerunt,
et si vel durius habitos, quam aequum est, vel infami iniuria adfectos
cognoveris, veniri iube, ita ut in potestatem sabini non revertantur. |
"Perciò òccupati
delle lamentele di quelli fra gli schiavi di Giulio Sabino che fuggirono
presso la statua, e se appurerai che erano trattati più duramente
del giusto o che erano colpiti da offese infami, ordina che siano venduti,
così che non ritornino sotto la potestà di Sabino. |
Quod
si meae constitutioni fraudem fecerit, sciet me admissum severius executurum". |
Se poi costui eluderà
quanto ho qui stabilito, sappia che punirò la colpa ancora più
severamente" [4]. |
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4.12.3
Pauli
sententiarum 2
|
4.12.3
Sentenze
di Paolo 2
|
Maritus
in adulterio deprehensos non alios quam infames et eos qui corpore quaestum
faciunt, servos etiam et libertos excepta uxore, quam prohibetur, occidere
potest. |
Al
marito è permesso uccidere coloro che ha scoperto in adulterio con
la moglie solo se sono infami.[5].o
vendono il loro corpo, o anche schiavi o liberti,
ma non la moglie, cosa proibita. |
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Giudice romano, ca.
425-450 d.C., da Afrodisia. Foto G. Dall'Orto.
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5.0.
De stupratoribus.
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5.0.
Di coloro che commettono
atti sessuali illeciti.
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5.1
Moyses.[6].dicit: |
5.1
Mosè.[6].dice: |
5.1.1
Qui
manserit cum masculo mansione muliebri, aspernamentum est: ambo moriantur,
rei sunt. |
5.1.1
"Se
uno abbia giaciuto con un maschio come si giace con una donna, è
sacrilegio: muoiano entrambi, sono colpevoli". |
5.2
Paulus.libro
sententiarum ii.sub titulo de adulteris: |
5.2
Paolo
nel secondo libro delle Sentenze, al capitolo "sugli adulteri": |
5.2.1
Pauli
sententiarum 2
Qui masculum liberum invitum
stupraverit, capite punietur. |
5.2.1.
Sentenze
di Paolo 2
Chi abbia stuprato contro
la di lui volontà [7].un
maschio libero, sia punito con la morte. |
5.2.2
Pauli sententiarum
2
Qui voluntate sua stuprum
flagitiumque inpurum patitur, dimidia parte bonorum suorum multatur nec
testamentum ei ex maiore parte facere licet. |
5.2.2.
Sentenze
di Paolo 2
Chi di sua volontà
subisce lo stupro e l'atto sessuale impuro, sia multato della metà
dei suoi beni, né gli sia lecito disporre per testamento di più
di tanto. |
5.3 |
5.3 |
Hoc quidem iuris est:
mentem tamen legis Moysi imperatoris Theodosii.constitutio
ad plenum secuta cognoscitur. <item Theodosianus>: |
Questo è dunque quanto
prevede il diritto umano: tuttavia si sa che la costituzione dell'imperatore
Teodosio
segue pienamente l'intenzione della legge di Mosè. <Sempre il
codice di Teodosio:> |
5.3.1
Theodosius.[8]. |
5.3.1
Teodosio.[8]. |
Non patimur urbem Romam
virtutum omnium matrem diutius effeminati in viro pudoris contaminatione
foedari et agreste illud a priscis conditoribus robur fracta molliter plebe
tenuatum convicium saeculis vel conditorum inrogare vel principum, Orienti
karissime ac iucundissime nobis. |
"Non sopportiamo che la città
di Roma, madre di tutte le virtù, sia più a lungo
infangata dalla macchia del comportamento effeminato nel maschio,
e che quella forza rustica dei primi fondatori, infranta mollemente dal
popolino, porti ingiuria ai tempi dei nostri fondatori o degli imperatori,
Orienzio carissimo e graditissimo a noi". |
5.3.2
Theodosius |
5.3.2
Teodosio |
Laudanda igitur experientia
tua omnes, quibus flagiti usus est virile corpus muliebriter constitutum
alieni sexus damnare patientia nihilque discretum habere cum feminis, occupatos,
ut flagitii poscit inmanitas, atque omnibus eductos, pudet dicere, virorum
lupanaribus spectante populo flammae vindicibus expiabit, ut universi intellegant
sacrosanctum cunctis esse debere hospitium virilis animae nec sine summo
supplicio alienum expetisse sexum qui suum turpiter perdidisset. |
"Perciò la tua lodevole
esperienza purgherà tramite le fiamme vendicatrici tutti
coloro che praticano l'infamia di condannare il loro corpo maschile, travestito
da femminile, alla passività del sesso opposto (al punto
che non differiscono in nulla dalle femmine), dopo averli arrestati, come
richiede l'enormità del crimine, e portati tutti fuori (ci si vergogna
a dirlo) dai bordelli maschili, in presenza del popolo, in modo
che tutti capiscano che dev'essere sacrosanto il contenitore dell'anima
virile, e che chi abbia perso turpemente il suo sesso, non potrà
aspirare a quello altrui senza subire l'estremo supplizio". |
L'autore ringrazia
fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati
su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà
eventuali errori in essa contenuti. |
Note
[1]
Il testo è quello online sul sito: The
Roman law library.
A stampa come:
Anonimo, Collatio legum mosaicarum et romanarum [sec. IV-V d.C.].
In: Fontes iuris romani antejustiniani, parte 2 (auctores), Barbera,
Firenze 1940 (solo testo latino).
La traduzione
dal latino qui proposta, inedita, è in parte mia e in parte di Pierluigi
Gallucci, che ringrazio per il contributo.
La revisione
del testo italiano è mia, quindi eventuali errori sono da imputare
a me soltanto.
Questa Collatio
è una significativa raccolta giuridica cristiana che mette a confronto
le prescrizioni giuridiche presenti nella Bibbia e le leggi romane. Fu
scritta da un anonimo autore, cristiano o ebreo, che la mise assieme a
partire sia da decreti degli imperatori, sia dai pareri dei giureconsulti
più importanti, come Giulio
Paolo o
Ulpiano.
Viene considerata
come una tra le più importanti fonti per il Diritto
romano del tardo impero rispetto all'omosessualità, il cui atteggiamento
avrebbe influito per ben oltre un millennio sulle legislazioni occidentali.
[2]
Il caso per cui venne emessa questa sentenza non ci è noto, ma da
quanto detto nel testo sembra riguardasse la fuga di alcuni schiavi, rifugiatisi
presso un tempio (una prassi comune nell'antichità, ereditata poi
dalle chiese cristiane) perché il padrone li sottoponeva a maltrattamenti
che, da quanto si deduce dal prologo (3.3.1), comprendevano anche rapporti
sessuali non consenzienti.
La sentenza prescrive che
in casi particolarmente gravi (come questo) vada presa in considerazione
anche la supplica dello schiavo (che altrimenti non aveva diritto di sporgere
denunce).
Ma non ci si faccia illusioni:
la giustizia in cui poteva sperare lo schiavo era solo... essere venduto
a un altro padrone!
Sul caso si veda: Danilo
Danna, Ubi Venus mutatur, Giuffrè, Milano 1987, pp. 42-44.
[3]
Qui i "diritti" che si deve avere la cura di non ledere sono quelli dei
proprietari di schiavi, non quelli degli schiavi!
[4]
Questo testo è riproposto anche nel Digesto,
I 6, 2.
[5]
L'"infamia" non era la banale condizione di chi avesse una "cattiva fama",
ma una precisa condizione di notoria e sancita indegnità a seguito
di azioni "disonorevoli", che comportava la perdita dei diritti civili.
[6]
Qui il compilatore
cita il Levitico, XX 13.
Il Levitico
all'epoca era creduto opera di Mosè ed è citato qui come
tale.
Particolare
importante: secondo il compilatore la legge romana di cui discute qui non
è altro che la piena traduzione in legge del dettato biblico.
Dunque una
fonte antica smentisce quegli storici, come l'apologeta cattolico e gay
John
Boswell, che pretendono che nessun influsso abbia avuto
il cristianesimo sull'emanazione delle leggi
antiomosessuali degli imperatori cristiani.
Su questa citazione
si veda Danilo Dalla, Ubi Venus mutatur, Op. cit., pp. 165-166
e 170-171.
[7]
Va ricordato che per i romani lo "stupro" è un atto sessuale
illecito in quanto tale, indipendentemente dal consenso di chi lo subisce.
Quindi esiste anche lo "stupro consensuale". Per un'analogia nel diritto
italiano di oggi si pensi ai rapporti sessuali coi minori di dodici anni,
che è sempre considerato stupro, anche in quei casi in cui eventualmente
il minorenne fosse stato consenziente.
E in effetti si veda nel
paragrafo successivo la previsione del caso dello "stupro consensuale".
[8]
Il brano a V 3, 1-2 si limita a riprendere la
legge del 390, di Valentiniano II, Arcadio e Teodosio I
(cfr. il Codex
theodosianus,
IX
7, 6) che ho pubblicato
e commentato altrove in questo sito.
Il testo latino
è online anche nelle Laws
of Theodosius I. |