Contra il vitio
nefando. Invettiva [ca. 1608/09] [1]
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/ p. 353 / Te chiamo in testimonio, o de' mortali,
e di quanto qua giù nasce tra noi,
produttrice benigna e prima madre! |
Chiamo te [2] a testimone, tu che sei dei mortali,
e di quanto quaggiù nasce fra noi,
creatrice benigna e prima madre! |
Tu, d'elementi pria caduchi e frali
composto l'uom, perché potesse poi,
d'ampia succession felice padre, |
Tu hai prima, da materiali effimeri e fragili
composto l'uomo, e poi, perché potesse,
felice padre di un'ampia prole, |
con vicende leggiadre
eternarsi in altrui, vaso formasti
distinto ed atto a ricettar quel seme, |
con atti gradevoli
perpetuarsi nei figli, hai formato un ricettacolo
apposito e adatto a ricevere quei semi, |
che, copulati insieme,
stillar dovean tra dolci incendi e casti; |
che, mescolati assieme [3]
dovevano gocciolare fra incendi dolci e casti; |
ma del precetto tuo l'ordin fecondo
prevaricò, contaminato, il mondo. |
ma l'ordine fecondo della tua regola
lo sconvolse la contaminata società moderna. |
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Vide il secolo allor, guasto e corrotto,
in nodo abominevole giacersi
congiunti insieme una natura, un sesso; |
La società attuale, guasta e corrotta, ha visto allora,
congiunti da un nodo abominevole,
giacere insieme una natura, un sesso solo; |
e, con empi imenei, raccolse
sotto giogo strano e difforme uomin perversi,
l'un marito de l'altro, un letto stesso. |
e, con nozze empie, raccolse
sotto un vincolo comune strano e deforme uomini perversi,
uno marito dell'altro, nello stesso letto. |
A l'orribile eccesso
tremò Natura, indietro il Sol fuggìo;
pianser, dipinti di color vermiglio, |
All'orribile eccesso
la Natura tremò, il Sole fuggì retrocedendo;
piansero, soffusi di rossore, |
/ p. 354 / e con le penne il ciglio
gli angeli si velàro innanzi a Dio. |
e gli occhi con le penne
si velarono, davanti a Dio, gli angeli. |
Lo stesso autor di sì nefande cose
trasse l'uomo a compirle, e poi s'ascose. |
Lo stesso istigatore di tanto nefande cose
indusse l'uomo a compierle, e poi si nascose [4]. |
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Girò torva le luci al gran misfatto,
e tanto ardire a castigar s'accinse
la punitrice de' mortali errori. |
Girò torva gli occhi verso il gran delitto
e si accinse a castigare tanto ardire
colei che punisce gli errori dei mortali [5] |
Ne la destra divina orrida in atto
mille folgori e mille accolse e strinse;
e scaturì sovra i vietati amori |
Nella destra divina con atto orribile
raccolse e strinse mille e mille fulmini;
e rovesciò sopra i vietati amori |
torrenti di furori,
di fumo e zolfo turbini e procelle
sparse, e versò ne l'essecrabil loco |
torrenti di furori,
e turbini e tempeste di fumo e di zolfo
sparse, e versò sull'esecrabile luogo |
pruine alte di foco;
grandinò lampi e saettò fiammelle. |
alte brinate di fuoco [6];
fece grandinare lampi e saettare fiammelle. |
Così ne l'inumano uman legnaggio
vendicò l'altrui fallo e 'l proprio oltraggio. |
Così nell'inumana razza umana
vendicò la colpa verso gli altri e l'oltraggio verso di sé. |
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Ahi, che val non intero e non perfetto
di misture viril trastullo obliquo,
che grida foco e chier' vendetta e sangue? |
Ahi, a cosa giova l'incompleto e imperfetto
godimento distorto d'accoppiamenti maschili,
che reclama il fuoco e chiede vendetta e sangue? |
trastullo in cui del non commun diletto
sotto il crudel violatore iniquo
geme e si dole il violato esangue; |
Trastullo nel quale, nel piacere anormale,
sotto l'iniquo e crudele stupratore,
lo stuprato, pallido, si lamenta e geme; |
beltà, che tosto langue;
fior, cui manca in un punto il vago e 'l verde;
amor, dove altrui arando, empio bifolco, |
bellezza, che subito langue;
fiore, a cui mancano assieme il bello e il verde [7];
amore, in cui un empio bifolco arando nell'altro |
vil campo e steril solco,
in non ferace arena il seme perde.[8], |
un campo vile ed un solco sterile,
spreca il seme in sabbia sterile [8], |
e, distruggendo in quanto a sé natura,
dove amor non si trova, amor procura.[9]. |
e, distruggendo per quanto lo riguada la natura,
cerca amore
dove l'amore non si trova [9]. |
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E v'ha pur tal che a le proterve voglie
ed a l'avide altrui frenate brame
volontario se stesso espone e piega; |
E c'è pure chi alle voglie sfrontate
e alle avide brame represse altrui
si offre e si piega volontariamente [10]; |
e 'n guisa, ohimè, di meretrice e moglie,
d'opra fetida e rea ministro infame,
infemenito a l'amator si lega; |
e quasi fosse, ohimè, prostituta e moglie [11],
strumento infame di azione rea e fetida,
reso femmina si lega all'amante: |
/ p. 355 / e, mentre viver nega
sì come nacque, e maschio esser ricusa,
cangiarsi pur con novo modo orrendo |
e se rifiuta di vivere
come nacque, e rifiuta d'essere maschio,
(poiché vuol trasformarsi con un nuovo metodo orrendo |
in femina volendo,
né pure uomo riman, ma di confusa |
in una femmina),
non resta neppure uomo, ma di una confusa |
natura ufficio in sé doppio ritiene,
e di due qualità mostro diviene. |
natura tiene in sé il doppio ruolo,
e diventa un mostro di due tipi [12]. |
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S'egli è ver che d'amor come di luce
primi fonti son gli occhi, e da lor nasce
quel soave desir che in noi si cria, |
Se è vero che dell'amore, come d'una luce,
l'origine sono gli occhi, e da loro nasce
quel soave desidero che sorge in noi, |
e sol del dolce raggio, il qual produce
l'amato aspetto, si nodrisce e pasce,
verace amante, e nulla piú desia, |
e che del solo dolce raggio, irradiato [13]
dall'amato aspetto, si nutre e sfama
il vero amante, e non desidera altro, |
qual esser può che sia
dolcezza ove si nega il guardo e 'l riso?
ove quel ben che t'innamora e piace, |
quale potrà mai essere
la dolcezza
là dove si nega lo sguardo e il sorriso? [14].
Dove quel bene che t'innamora e piace, |
quasi avaro e fugace,
ti volge il tergo [15] e ti nasconde il viso? |
quasi egoista e fugace,
ti volta la schiena [15] e ti nasconde il viso? |
Atto da scolorar la faccia al giorno,
da far infamia stessa arder di scorno! |
Azione da fare impallidire la faccia al Giorno,
da far ardere di vergogna la stessa Infamia! |
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Ma da sì sozzo oggetto e sì profano,
di vista indegna oltre ogni creder brutto,
ben la fronte a ragion torcer conviensi; |
Ma da un argomento tanto sporco e irreligioso,
insozzato da un aspetto che è indegno oltre ogni dire,
conviene a ragione girare la faccia; |
e, se tanto l'aborre il guardo umano,
che farà Quel, che da le stelle il tutto
vede ed osserva e non soggiace a' sensi? |
e se tanto lo aborrisce lo sguardo umano,
cosa farà Colui, che dalle stelle tutto
vede ed osserva e non è soggetto ai sensi? |
Forsennato [16], e non pensi
che 'l tuo custode allor spirto ti mira:
spirto puro innocente, occhio gentile, |
Forsennato [16], e non pensi
che allora il tuo angelo custode ti guarda:
spirito puro e innocente, occhio gentile, |
che cosa immonda e vile
mirar non sa senza vergogna ed ira? |
che una cosa immonda e vile
non sa guardarla senza vergogna ed ira? |
Dritto ben fia che, pien di giusto zelo,
la tua cura abbandoni e torni in cielo. |
Giusto sarà che, pieno di giusto zelo,
smetta di vegliare su di te e torni in cielo. |
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Deh! poiché sì de la licenzia il freno
a l'umana lascivia il senso ha sciolto,
ch'oltre il lecito e'l dritto erra e trascorre, |
Ah! Perché i sensi hanno sciolto il freno
della dissolutezza alla lussuria umana,
che sbaglia e trasgredisce oltre il lecito e il giusto? |
/ p. 356 / quanto è più dolce e più giocondo almeno,
petto a petto congiunto e volto a volto,
bella donna, che t'ami, in braccia accorre, |
Quanto invece è più dolce e lieto
unendo petto a petto e volto a volto,
accogliere fra le braccia una bella donna che t'ami, |
bocca a bocca comporre,
e, con cambio reciproco d'amore,
amar beltà che, a le tue voglie ingorde |
unire bocca a bocca,
e, reciprocando l'amore l'uno con l'altra,
amare una bellezza che, alle tue voglie ingorde |
rispondente e concorde,
spirto unisce con spirto e cor con core, |
corrispondente e concorde,
unisca spirito a spirito e cuore a cuore, |
e de la gioia egual, che teco prende,
quanto a punto le dài, tanto ti rende! |
e che la stessa gioia, che da te prende
tanta tu gliene dai, tanta ne rende! |
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Chi pria le leggi immaculate e sante
del Monarca immortal ruppe e disciolse,
e morbo al mondo e vituperio accrebbe, |
Chi per primo le leggi immacolate e sante
del Re immortale infranse e sciolse,
e che accrebbe nel mondo morbo e vituperio |
quando, del sesso suo perfido amante,
in uso reo l'armi d'amor rivolse,
e di tradir natura orror non ebbe; |
quando, perfido amante del suo stesso sesso,
ha rivolto le armi [17] d'amore verso un uso criminale,
e che non ebbe orrore di tradire la natura, |
fera dirsi non debbe,
benché in atto ferino il cielo offese:
gli ordini a lor prescritti entro le selve |
costui non va detto animale,
anche se offese il Cielo con un atto animalesco:
infatti nelle selve l'ordine delle cose prescritto |
serbano ancor le belve,
né di fiamma sì brutta han l'alme accese. |
lo rispettano perfino gli animali,
né il loro animo arde d'una fiamma tanto sozza. |
Fera non fu, ma furia empia d'Averno,
il trasgressor del gran decreto eterno. |
Non fu una fiera, ma una furia empia d'inferno,
il trasgressore del gran decreto eterno! |
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Macchiasti tu de l'innocenza antica
il semplice candor, sozza inventrice
sol di vizio e d'error, novella etade! |
Tu hai macchiato il semplice candore
dell'innocenza antica, scopritrice sozza
solo di vizio
e di errore, epoca moderna! [18]. |
Quindi a l'altrui libidine impudica
l'empia delizia, d'ogni mal nudrice,
strade insolite aperse e non usate. |
Da qui all'impudica libidine altrui
l'empia brama (madre d'ogni vizio)
ha aperto strade
insolite e mai percorse. |
Leggi, e voi non v'armate?
fiamme, e voi non ardete? incendio e peste,
e non piovi e non struggi? e tu, guerrera |
Leggi, e voi non prendete le armi? [19]. Fiamme, e voi non ardete? Incendio e peste,
non piovete e non imperversate? E tu guerriera |
spada d'Astrea severa,
non recidi e non sveni? ira celeste, |
spada della severa Giustizia,
non tagli e non uccidi? Ira celeste, |
tanto rigida più quanto più lenta,
né la tua destra ancor fulmini avventa? |
tanto più dura quanto più tarda a venire,
la tua mano destra non scaglia ancora fulmini? |
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Bartolomeo Sesi (1556-1629), Scena di benvenuto o rappacificazione (Firenze, Uffizi). Da Beurdelay, L'amour bleu,
p. 112. È ben poco probabile che la scena sia stata disegnata con
intenti omosessuali: saranno due fratelli che si rivedono dopo una
separazione, o un tema analogo. Ma non si può negare che il colpo
d'occhio non sia niente male anche come scena gaya...
|
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/ p. 357 / Chiunque in grembo a giovinetta amata
talor si stringe e 'n compagnia s'accoppia,
quegli il piacer veracemente abbraccia. |
Chiunque in grembo a una ragazza amata
si stringa e assieme a lei s'accoppi,
costui abbraccia veramente il piacere. |
Ella, come colei che a questo è nata,
emula nel diletto i nodi addoppia,
e di piacerti sol par che le piaccia. |
Costei, essendo nata per questo,
rispondendo al piacere raddoppia i legami,
e sembra le piaccia solo di piacerti. |
Teco lieta s'allaccia;
se la baci, ribacia, arde e si strugge.
Fertile poi di dolce prole e bella |
A te lieta s'allaccia;
se la baci, ribacia, arde e si strugge.
Fertile poi di prole dolce e bella |
in lei si rinovella;
né temer puoi che, qual balen che fugge, |
in lei tutto si rinnova;
né devi temere che, come un lampo che fugge, |
o come a mezzo april torbida bruma,
il tuo tesor t'involi invida piuma. |
o come torbida brinata a metà aprile [20],
il tuo tesoro te lo rubi il pelo, geloso [21]. |
.
Ma tu pur, temerario, il ciel disprezzi,
e 'n quell'albergo forse, ove pendenti
stanno immagini sante e sacre cere, |
Eppure tu, temerario <sodomita>, disprezzi il cielo
e forse in quell'edificio stesso, dove pendenti
stanno immagini sante e sacri ceri, |
vergognose lusinghe, infami vezzi
trattar non temi? e trar presumi e tenti
d'illecita union laido piacere? |
non ti vergogni di darti a vergognose lusinghe e
infami smancerie? E presumi e tenti di trarre
da un'unione illecita uno sporco piacere? |
Oh mostruose e fiere
voglie più che infernali, ebbro appetito,
non desio ma furore! E te che sai |
O mostruose e feroci
voglie peggio che infernali, appetito ubriaco,
non desiderio ma pazzia! E te che sai |
ciò che soffri e che fai,
di mal sì grave essecutor ardito, |
ciò che sopporti e che fai [22],
sfacciato colpevole di un male tanto grave, |
non assorbe l'abisso? e quelle indegne
fiamme d'amor fiamma del ciel non spegne? |
non t'inghiotte il terreno? E quell'indegno
fuoco d'amore,
non lo spegne fuoco dal cielo [23]? |
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Canzon, meco rimanti;
non t'oda il vento e non ti veda il sole:
ché di sì scelerato atto e nefando,
anco i biasmi cantando, |
Canzone,
resta con me [24].
Non t'oda il vento e non ti veda il sole:
che di un atto tanto scellerato e nefando,
perfino cantandone le condanne, |
si vergognan le muse a far parole:
la man trema e l'ingegno e manca l'arte,
arrossiscon gli inchiostri, ardon le carte. |
le Muse si vergognano di parlare:
la mano trema e vien meno la capacità,
arrossiscono gli inchiostri, e s'infiammano i fogli. |
L'autore
ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori
dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti. |
Note
[1] Il testo da: Giovambattista Marino, Poesie varie, a cura di Benedetto Croce, Laterza, Bari 1913, pp. 353-357. La trascrizione è di Andrea Garavaglia, che ringrazio.
Ho qui aggiunto una
mia parafrasi in italiano moderno perché la "concettosità" barocca del
Marino rendeva poco praticabile mitragliare di note il testo, che pure
di per sé non è in un italiano particolarmente "difficile".
Non conosco la data di composizione; secondo Benedetto Croce,
curatore dell'edizione Laterza, risale al periodo torinese della
polemica col Murtola (1608/1609). La prima data di pubblicazione che
abbia trovato è il 1626 (quindi postuma) in: Giovan Battista Marino, Il settimo canto della Gerusalemme distrutta. Poema Eroico. Aggiuntovi alcune altre composizioni del medesimo, Girolamo Pinti, Venezia 1626.
Questa poesia è anomala nella consistente produzione del Marino sul tema omosessuale. Penso sia stata scritta per "rifarsi una reputazione" in un periodo in cui fioccavano accuse d'essere sodomita (per esempio nella polemica col Murtola, leggibile ancora oggi nella Murtoleide). Quanto al parere dei suoi contemporanei, basterà ricordare l'inclusione del Marino nel capitolo sugli "Italiani sodomiti" delle Histoiriettes di Gedeon Tallément des Réaux!
Sull'omosessualità del Marino (che però sembrerebbe esser stato piuttosto bisessuale) si veda: Valentino Labate-Caridi, Il cavalier Marino nella tradizione popolare, "Rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti", XII 1897, pp. 132-322, alle pp. 313-314.
Si noti infine come questa poesia usi quasi tutti gli argomenti, talvolta con le stesse parole, dei nemici attuali dell'omosessualità. Il che mostra quanto le loro tesi siano al passo coi tempi...
[2] Il poeta si rivolge qui alla Natura.
[3] Una delle teorie antiche sulla generazione sosteneva che nel coito si mescolassero due liquidi seminali, uno maschile ed uno femminile.
[4]
Ritorna abbastanza spesso nella polemistica antisodomitica antica
l'affermazione per cui il diavolo stesso non sopporta la puzza del
peccato di sodomia, e quindi fugge dalla scena del delitto che ha
istigato.
[5] La Giustizia Divina.
[6]
Ovviamente l'ossimoro della "brina di fuoco" è intenzionale. E i
continui richiami al fuoco divino alludono altrettanto ovviamente alla
punizione di Sodoma e Gomorra.
[7]
Qui e oltre la visione che ha Marino dell'omosessualità è abbastanza
restrittiva, ma forse tutt'altro che irrealistica, trattandosi d'un
rapporto che, vivendo sotto la minaccia continua della pena di morte, non aveva certo spazio per far fiorire grandi amori. Qui è un rapporto di sfogo
e sopraffazione, se non stupro, fra un adulto e un imberbe, in
cui solo l'adulto (che si riserva il ruolo "attivo") prova piacere
mentre il "passivo" soffre e geme.
Marino, con una serie di doppi sensi fin troppo audaci (tanto da far dubitare della sincerità della sua indignazione), mostra di considerare "canonica" la posizione detta oggi "alla pecorina".
[8] Qui e oltre gli argomenti sono ripresi dalle Leggi di Platone (VIII 836b-842a), da cui viene l'immagine di "seminare sui sassi", o l'argomento relativo all'assenza di omosessualità fra gli animali (illuso!).
Si noti peraltro che l'allusione alla penetrazione anale è qui alquanto sfacciata... Davvero questo è lo scritto di un'anima devota?
[9] Citazione letterale d'una frase della legge contro la sodomia, "Cum vir": "ubi amor quaeritur nec videtur".
[10] Marino dunque sa che questo rapporto non è fatto solo di sopraffazione (e nel "piegarsi" vedo un ulteriore doppio senso).
[11] A quanto pare per Marino, un bravo maschilista, è più o meno la stessa roba...
[12] Probabile allusione, ed equiparazione, all'Ermafrodito.
[13]
Se non ho visto male leggendo "produce" come latinismo ("spinge
avanti") piuttosto che nel senso più prosaico di "fabbrica", c'è qui
un'allusione all'Ottica di Epicuro, magari attraverso il De rerum natura di Lucrezio,
secondo la quale noi vediamo gli oggetti perché da essi promanano
immagini che colpiscono i nostri occhi. Ora, la citazione in questo
contesto di Lucrezio o Epicuro, all'epoca re degli atei e dei libertini, è a mio parere un segnale in codice sulla credibilità del fervore religioso ostentato dal Marino.
[14] Allusione decisamente "forte" al coito ("alla pecorina").
[15] Altro doppio senso osceno.
[16] Torna a rivolgersi al sodomita.
[17] Ancora un doppio senso sessuale (Freud è arrivato secondo...).
[18] Come si vede, il pensiero reazionario a cui Marino dà qui voce ama presentare il passato come l'epoca di tutte le virtù, a cui occorre tornare per sfuggire alla corruzione del presente. "Al giorno d'oggi" succedono sempre turpitudini "mai udite prima"...
I reazionari sono insomma condannati ad avere sempre "un grande futuro dietro a sé"...
[19] Ulteriore citazione dalla legge anti-omosessuale "Cum vir". Il richiamo alle fiamme è ovvia allusione alla pena del rogo per la sodomia.
[20] Mi pare di vedere un'allusione, ribaltata, a "la più algente bruma" (nel senso di "periodo più freddo dell'anno") del Petrarca.
[21]
Il rapporto omosessuale non è qui visto come rapporto fra eguali, ma
come rapporto pederastico con un imberbe, destinato a crollare allo
spuntare dei primi peli.
Il Marino ha scritto poesie sul tema, anche ribaltando questo luogo comune.
[22]
Ancora un doppio senso osceno. "Soffrire" voleva infatti dire anche
"subire la sodomia". "Fare" ovviamente ha il significato opposto.
[23] Ancora un paradosso, di gusto barocco, ma ben trovato: il fuoco del Cielo è chiamato a... spegnere il fuoco dell'ardore dei sodomiti.
[24]
Il congedo, che di solito saluta la poesia e la invita ad andare fra la
gente, qui ribalta la convenzione e l'invita a nascondersi. |