Da: Institutiones
divinae [303-310 d.C.] [1].
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Liber I, Caput X
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Libro
1, capitolo 10
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Quid horum omnium pater
Jupiter, qui in solemni precatione Optimus, Maximus nominatur? Nonne a
prima sua pueritia impius ac pene parricida deprehenditur? Cum patrem regno
expulit ac fugavit, nec expectavit mortem decrepiti senis, cupiditate regnandi:
et cum paternum solium per vim, per arma cepisset, bello est a Titanibus
lacessitus; quod humano generi principium fuit malorum: quibus victis,
et pace in perpetuum comparata, reliquam suam vitam in stupris adulteriisque
consumpsit. Omitto virgines, quas imminuit. Id enim tolerabile judicari
solet. |
Perché
Giove, padre di tutti questi [dei, di cui ha parlato
prima], nell’invocazione solenne viene chiamato Ottimo Massimo?
Forse fin dall’infanzia non è stato empio e quasi parricida? Dopo
aver detronizzato e cacciato il padre, non aspettò la morte del
vecchio decrepito a causa del desiderio di regnare: e dopo aver preso il
trono paterno con la forza e le armi, fu attaccato in guerra dai Titani;
questo fu l’inizio dei mali del genere umano: una volta sconfitti e preparata
una pace duratura, passò il resto della sua vita tra stupri e adulterii.
Tralascio le vergini che violò. Infatti, di solito questo è
giudicato tollerabile. |
Amphitryonem
ac Tyndarum praeterire non possum, quorum domos dedecore atque infamia
plenissimas reddidit. Illud vero summae impietatis ac sceleris, quod regium
puerum rapuit ad stuprum. |
Ma
non posso tralasciare Anfitrione e Tindaro, di cui riempì le case
di vergogna ed infamia. E poi quello [Ganimede]
di grande empietà e scelleratezza, poiché rapì
il figlio del re per stuprarlo. |
Parum
enim videbatur, si in expugnanda foeminarum pudicitia maculosus esset ac
turpis, nisi etiam sexui suo injuriam faceret: hoc est verum adulterium,
quod fit contra naturam. |
Infatti,
non gli sembrava abbastanza, se già era vergognoso e turpe nel fare
violenza al pudore delle donne, inoltre recava offesa anche a quelli del
proprio sesso: questo è davvero adulterio, poiché è
contro natura. |
Haec qui fecit viderimus,
an maximus; certe optimus non est: quod nomen a corruptoribus, ab adulteris,
ab incestis abest; nisi forte nos erramus homines, qui talia facientes
sceleratos vocamus, ac perditos, omnibusque poenis dignissimos judicamus.
Stultus autem Marcus
Tullius, qui C. Verri adulteria objecit: eadem enim Jupiter, quem colebat,
admisit; qui P. Clodio sororis incestum: at illi Optimo Maximo eadem fuit
et soror et conjux.[2]. |
Da ciò
che fece ci sembra forse massimo, sicuramente non ottimo: questo nome non
è adatto a corruttori, adulteri, incesti; sempre che non sbagliamo
noi uomini che chiamiamo scellerati e perduti chi fa tali cose e li giudichiamo
i più degni di ogni tipo di pena. Fu sciocco Cicerone a rinfacciare
a Caio Verre i suoi adulterii: infatti, proprio Giove, da lui venerato,
li commise; fu sciocco a rinfacciare a Publio Clodio l’incesto con la sorella:
proprio Giove ebbe come moglie sua sorella [Cicerone,
Verr. 1, 24; De harusp. Resp. 20, 42]. |
Liber
V, caput IX
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Libro
5, capitolo 9
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Impios enim vocant, ipsi
scilicet pii, et ab humano sanguine abhorrentes; |
Infatti
li chiamano empi quegli stessi che, naturalmente, sono pii e contrari allo
spargimento di sangue umano; |
cum si et actus suos
considerent, et illorum quos tanquam impios damnant, jam intelligant, quam
mendaces sint, et iis omnibus, quae adversus bonos aut dicunt, aut faciunt,
digniores.
Non enim de nostro, sed
ex illorum numero semper existunt, qui vias obsideant armati, maria praedentur; |
mentre se considerassero
le proprie azioni e quelle di coloro che condannano come tanto empi, capirebbero
ormai quanto siano in errore e come essi siano ben più degni di
tutte le cose che dicono o fanno contro i buoni. Infatti, non tra di noi,
ma tra di loro ci sono sempre quelli che bloccano le strade armati, fanno
i pirati per i mari; |
vel
si palam grassari non licuit, venena clam temperent; qui uxores necent,
ut dotes earum lucrentur, aut maritos, ut adulteris nubant, qui natos ex
se pueros aut strangulent, aut si nimium pii fuerint, exponant; qui libidines
incestas, nec a filia, nec a sorore, nec a matre, nec a sacerdote contineant; |
o,
se non possono aggredire apertamente, diffondono veleni di nascosto; ci
sono mariti che uccidono le mogli per godersi la dote, o mogli che uccidono
i mariti per sposare l’amante; madri che strangolano i bambini da loro
partoriti o, se sono troppo deboli, li abbandonano; uomini che non risparmiano
atti incestuosi con figlie, sorelle, madri, sacerdotesse; |
qui
adversus cives suos patriamque conjurent: qui nec culleum metuant; qui
denique sacrilegia committant, et deorum, quos colunt, templa dispolient;
et ut quae levia sunt atque illis usitata dicamus, qui haereditates captent,
testamenta supponant, justos haeredes vel auferant, vel excludant; |
che
congiurano contro i propri concittadini e contro la patria; che non temono
la pena del sacco [di cuoio in cui erano chiusi e
annegati i parricidi]; e infine compiono sacrilegi depredando i
templi degli dei che venerano. E per citare anche le colpe meno gravi e
più comuni, ci sono quelli che danno la caccia all’eredità,
falsificano i testamenti, eliminano o escludono i legittimi eredi; |
qui
corpora sua libidinibus prostituant; qui denique immemores, quid nati sint,
cum foeminis patientia certent; qui sanctissimam quoque corporis sui partem
contra fas omne polluant et profanent; |
quelli
che espongono il corpo ad ogni lascivia; quelli poi che, dimentichi di
essere nati maschi, gareggiano con la passività delle femmine; quelli
che contaminano e profanano, contro ogni legge divina, perfino la parte
più degna di rispetto del proprio corpo; |
qui virilia sua ferro
metant; et, quod est sceleratius, ut sint religionis antistites; qui ne
vitae quidem suae parcant, sed extinguendas publice animas suas vendant;
si judices sedeant, aut immeritos perdant mercede corrupti, aut noxios
impune dimittant; qui coelum quoque ipsum veneficiis appetant, tanquam
illorum malitiam terra non capiat. |
quelli
che si evirano, cosa ancora più abominevole, per diventare ministri
di culto [sacerdoti di Cibele, la Grande madre, dea
frigia della natura selvaggia]; quelli che non rispettano neppure
la propria vita, ma vendono la propria anima suicidandosi pubblicamente;
quanti, quando siedono come giudici, corrotti col denaro, condannano gli
innocenti o lasciano impuniti i colpevoli; quelli che con i loro incantesimi
cercano di influire perfino sul cielo stesso, come se la terra non contenesse
la loro malvagità. |
Haec, inquam, et his
plura scelera utique ab iis fiunt, qui deos colunt.[3]. |
Queste scelleratezze,
dico, e altre ancora sono compiute proprio da quelli che venerano gli dei. |
Liber
VI, caput XXIII
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Libro
6, capitolo 23
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Venio nunc ad eam, quae
percipitur ex tactu, voluptatem: qui sensus est quidem totius corporis.
Sed ego non de ornamentis, aut vestibus, sed de sola libidine dicendum
mihi puto; quae maxime coercenda est, quia maxime nocet. |
Giungo ora
a ciò che si prova col tatto, cioè il piacere, che è
un senso, per la verità, di tutto il corpo. Ma io penso di dover
parlare non dell’abbigliamento o dei vestiti, ma solo della libidine, che
deve essere repressa moltissimo perchè nuoce moltissimo. |
Cum
excogitasset Deus duorum sexuum rationem, attribuit iis, ut se invicem
appeterent, et conjunctione gauderent. Itaque ardentissimam cupiditatem
cunctorum animantium corporibus admiscuit, ut in hos affectus avidissime
ruerent, eaque ratione propagari et multiplicari genera possent. |
Dopo
che Dio ha creato l’ordine di due sessi, stabilì che si desiderassero
a vicenda e godessero della loro congiunzione. Così instillò
nei corpi di tutti gli animali un fortissimo desiderio affinchè
si slanciassero con molta foga in questi desideri, e per lo stesso motivo
la specie potesse propagarsi e moltiplicarsi. |
Quae
cupiditas et appetentia in homine vehementior et acrior invenitur; vel
quia hominum multitudinem voluit esse majorem, vel quoniam virtutem soli
homini dedit, ut esset laus et gloria in coercendis voluptatibus, et abstinentia
sui. |
Questo
desiderio e impulso si trova più forte e ardente nell’uomo, o perchè
Dio volle che il numero degli uomini fosse maggiore, o perchè diede
la virtù solo all’uomo affinchè ci fosse lode e gloria nel
reprimere e astenersi dai desideri sessuali. |
Scit
ergo adversarius ille noster, quanta sit vis hujus cupiditatis, quam quidam
necessitatem dicere maluerunt; eamque a recto et bono, ad malum et pravum
transfert. Illicita enim desideria immittit, ut aliena contaminent, quibus
habere propria sine delicto licet. |
Dunque,
quel nostro nemico sa quanto grande è la forza di questo desiderio,
che alcuni hanno preferito chiamare necessità; e può stravolgerlo
da buono e giusto in cattivo e ingiusto. Infatti, istiga desideri illeciti
per contaminarli con altri diversi con cui è lecito avere i propri
senza colpa. |
Objicit quippe oculis
irritabiles formas, suggeritque fomenta, et vitiis pabulum subministrat:
tum intimis visceribus stimulos omnes conturbat et commovet, et naturalem
illum incitat atque inflammat ardorem, donec irretitum hominem implicatumque
decipiat. Ac ne quis esset, qui poenarum metu abstineret alieno, lupanaria
quoque constituit; et pudorem infelicium mulierum publicavit, ut ludibrio
haberet tam eos qui faciunt, quam quas pati necesse est. |
Infatti, si
presenta agli occhi con forme provocanti, propone stimoli e alimenta i
vizi: allora mescola e turba tutti gli stimoli nelle intime viscere, incita
l’impulso naturale e infiamma il desiderio, finchè inganna l’uomo
dopo averlo confuso e sedotto. E affichè non ci sia nessuno che
si astenga per paura delle pene, ha creato anche i postriboli; e ha reso
pubblico il pudore delle mogli infelici affinchè schernisca tanto
quelli che lo fanno quanto quelli che è necessario lo subiscano. |
His obscoenitatibus animas,
ad sanctitatem genitas, velut in coeni gurgite demersit, pudorem extinxit,
pudicitiam profligavit. |
Con queste
oscenità sommerse, come in un gorgo di fango, le anime nate pure,
estinse il pudore e annientò la virtù. |
Idem etiam mares maribus
admiscuit; et nefandos coitus contra naturam contraque institutum Dei machinatus
est: sic imbuit homines, et armavit ad nefas omne.
Quid enim potest esse
sanctum iis, qui aetatem imbecillam et praesidio indigentem, libidini suae
depopulandam foedandamque substraverint? Non potest haec res pro magnitudine
sceleris enarrari. |
Così
mischiò anche i maschi con i maschi e macchinò orribili coiti
contro natura e contro la legge di Dio: così macchiò gli
uomini e li armò ad ogni tipo di empietà. Infatti, cosa ci
può essere di puro in coloro che offrono la loro giovinezza, debole
e priva di difese, alle proprie libidini per devastarla e rovinarla? Questa
cosa non può essere esposta oltre a causa della grandezza dell’empietà. |
Nihil amplius istos appellare
possum, quam impios et parricidas, quibus non sufficit sexus a Deo datus,
nisi etiam suum profane ac petulanter illudant.
Haec tamen apud illos
levia, et quasi honesta sunt. Quid dicam de iis, qui abominandam non libidinem,
sed insaniam potius exercent! Piget dicere: sed quid his fore credamus,
quos non piget facere? et tamen dicendum est, quia fit. |
Non posso chiamare
questi di più che empi e parricidi, a cui non è sufficiente
il sesso dato da Dio, se non rispettano neppure il proprio in modo profano
e sfacciato. Tuttavia, secondo loro queste sono cose di poco conto e quasi
nobili. Che dire di coloro che manifestano una libidine non abominevole,
ma piuttosto folle! Rincresce dirlo, ma cosa crediamo che succederà
a questi che non si pentono di ciò che fanno? E tuttavia si deve
dire, perchè è giusto. |
De istis loquor, quorum
teterrima libido et execrabilis furor ne capiti quidem parcit. Quibus hoc
verbis, aut qua indignatione tantum nefas prosequar?
Vincit officium linguae
sceleris magnitudo. Cum igitur libido haec edat opera, et haec facinora
designet, armandi adversus eam virtute maxima sumus. |
Parlo di questi,
la cui ripugnante libidine ed esecrabile furore non risparmiano nemmeno
la mente. Con quali parole o indignazione dovrei trattare una cosa tanto
ignobile? La grandezza dell’empietà supera la possibilità
di renderlo in parola. Quindi, poichè la libidine produce questi
effetti e indica questi peccati, dobbiamo essere armati contro di essa
con la massima virtù. |
Quisquis affectus illos
fraenare non potest, cohibeat eos intra praescriptum legitimi tori, ut
et illud, quod avide expetit, consequatur, et tamen in peccatum non incidat.
Nam quid sibi homines
perditi volunt? Nempe honesta opera voluptas sequitur: si ipsam per se
appetunt, justa et legitima frui licet.[4]. |
Chiunque non
possa frenare quegli impulsi, li contenga nella norma del talamo tradizionale
in modo che ottenga ciò che desidera avidamente e tuttavia non cada
nel peccato. Infatti, cosa vogliono gli uomini perduti per sè? Certo,
il piacere segue gli atti onesti: se lo ricercano in sé e per sé,
è giusto utilizzarlo in modo giusto e legittimo. |
L'autore ringrazia
fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati
su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà
eventuali errori in essa contenuti. |
Note
[1]
Il testo da Patrologia Latina, a cura di Jacques-Paul Migne (1844-1855
e 1862-1865), vol. 6.
Ricopiato,
inviato e commentato da Daniel Chazin, che ringrazio.
Le traduzioni
dal latino, inedite, sono di Pierluigi
Gallucci, che ringrazio per il contributo. La revisione del testo
italiano è mia, quindi eventuali errori sono da imputare a me soltanto.
La presentazione
di questa pagina è provvisoria e non completa.
[2]
PL VI, coll. 164-65.
The debaucheries
of Jove/Jupiter are excoriated; his affair with Ganymede is singled
out for criticism and branded as "against nature", a notion here linked
to the outrage against the male sex.
[3]
PL VI, coll. 578-579.
Homosexual
prostitutes censured for repudiating their sex and for "pollut[ing]
and
dishonour[ing] the most sacred part of their body".
Though it is
said to be common and tolerated among the pagans, this practice is classified
among the most outrageous crimes.
[4]
PL VI, coll. 716-717.
Carnal intercourse
between males is branded as "abominable", "against nature", and "against
the institute of God", and said to be the work of the Devil.
Note that the
adjective
"nefandus"
is here applied to homosexual intercourse, thus placing its first attested
usage centuries before previous estimates.
There is a
whole article on this topic by J. Chiffoleau in "Annales-Economies Societes
Civilisations", vol. 45 (Mar-Apr 1990).
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