Home page Giovanni Dall'Orto > Saggi di storia gayBiografie di personaggi gay > Testi originali > Sec. IV d.C. > Lattanzio

Lattanzio (Lucius Caecilius Firmianus Lactantius, ca. 250- dopo 326 d.C.)
 
Presunto ritratto di Lattanzio, sec. IV d.C. (Treviri)

Da: Institutiones divinae [303-310 d.C.] [1].
Liber I, Caput X
Libro 1, capitolo 10

Quid horum omnium pater Jupiter, qui in solemni precatione Optimus, Maximus nominatur? Nonne a prima sua pueritia impius ac pene parricida deprehenditur? Cum patrem regno expulit ac fugavit, nec expectavit mortem decrepiti senis, cupiditate regnandi: et cum paternum solium per vim, per arma cepisset, bello est a Titanibus lacessitus; quod humano generi principium fuit malorum: quibus victis, et pace in perpetuum comparata, reliquam suam vitam in stupris adulteriisque consumpsit. Omitto virgines, quas imminuit. Id enim tolerabile judicari solet.

Perché Giove, padre di tutti questi [dei, di cui ha parlato prima], nell’invocazione solenne viene chiamato Ottimo Massimo? Forse fin dall’infanzia non è stato empio e quasi parricida? Dopo aver detronizzato e cacciato il padre, non aspettò la morte del vecchio decrepito a causa del desiderio di regnare: e dopo aver preso il trono paterno con la forza e le armi, fu attaccato in guerra dai Titani; questo fu l’inizio dei mali del genere umano: una volta sconfitti e preparata una pace duratura, passò il resto della sua vita tra stupri e adulterii. Tralascio le vergini che violò. Infatti, di solito questo è giudicato tollerabile.
Amphitryonem ac Tyndarum praeterire non possum, quorum domos dedecore atque infamia plenissimas reddidit. Illud vero summae impietatis ac sceleris, quod regium puerum rapuit ad stuprum. Ma non posso tralasciare Anfitrione e Tindaro, di cui riempì le case di vergogna ed infamia. E poi quello [Ganimede] di grande empietà e scelleratezza, poiché rapì il figlio del re per stuprarlo.
Parum enim videbatur, si in expugnanda foeminarum pudicitia maculosus esset ac turpis, nisi etiam sexui suo injuriam faceret: hoc est verum adulterium, quod fit contra naturam.   Infatti, non gli sembrava abbastanza, se già era vergognoso e turpe nel fare violenza al pudore delle donne, inoltre recava offesa anche a quelli del proprio sesso: questo è davvero adulterio, poiché è contro natura.
Haec qui fecit viderimus, an maximus; certe optimus non est: quod nomen a corruptoribus, ab adulteris, ab incestis abest; nisi forte nos erramus homines, qui talia facientes sceleratos vocamus, ac perditos, omnibusque poenis dignissimos judicamus. 
Stultus autem Marcus Tullius, qui C. Verri adulteria objecit: eadem enim Jupiter, quem colebat, admisit; qui P. Clodio sororis incestum: at illi Optimo Maximo eadem fuit et soror et conjux.[2].
Da ciò che fece ci sembra forse massimo, sicuramente non ottimo: questo nome non è adatto a corruttori, adulteri, incesti; sempre che non sbagliamo noi uomini che chiamiamo scellerati e perduti chi fa tali cose e li giudichiamo i più degni di ogni tipo di pena. Fu sciocco Cicerone a rinfacciare a Caio Verre i suoi adulterii: infatti, proprio Giove, da lui venerato, li commise; fu sciocco a rinfacciare a Publio Clodio l’incesto con la sorella: proprio Giove ebbe come moglie sua sorella [Cicerone, Verr. 1, 24; De harusp. Resp. 20, 42].
Liber V, caput IX
Libro 5, capitolo 9

Impios enim vocant, ipsi scilicet pii, et ab humano sanguine abhorrentes; 
Infatti li chiamano empi quegli stessi che, naturalmente, sono pii e contrari allo spargimento di sangue umano;
cum si et actus suos considerent, et illorum quos tanquam impios damnant, jam intelligant, quam mendaces sint, et iis omnibus, quae adversus bonos aut dicunt, aut faciunt, digniores. 
Non enim de nostro, sed ex illorum numero semper existunt, qui vias obsideant armati, maria praedentur; 
mentre se considerassero le proprie azioni e quelle di coloro che condannano come tanto empi, capirebbero ormai quanto siano in errore e come essi siano ben più degni di tutte le cose che dicono o fanno contro i buoni. Infatti, non tra di noi, ma tra di loro ci sono sempre quelli che bloccano le strade armati, fanno i pirati per i mari;
vel si palam grassari non licuit, venena clam temperent; qui uxores necent, ut dotes earum lucrentur, aut maritos, ut adulteris nubant, qui natos ex se pueros aut strangulent, aut si nimium pii fuerint, exponant; qui libidines incestas, nec a filia, nec a sorore, nec a matre, nec a sacerdote contineant;  o, se non possono aggredire apertamente, diffondono veleni di nascosto; ci sono mariti che uccidono le mogli per godersi la dote, o mogli che uccidono i mariti per sposare l’amante; madri che strangolano i bambini da loro partoriti o, se sono troppo deboli, li abbandonano; uomini che non risparmiano atti incestuosi con figlie, sorelle, madri, sacerdotesse;
qui adversus cives suos patriamque conjurent: qui nec culleum metuant; qui denique sacrilegia committant, et deorum, quos colunt, templa dispolient; et ut quae levia sunt atque illis usitata dicamus, qui haereditates captent, testamenta supponant, justos haeredes vel auferant, vel excludant; che congiurano contro i propri concittadini e contro la patria; che non temono la pena del sacco [di cuoio in cui erano chiusi e annegati i parricidi]; e infine compiono sacrilegi depredando i templi degli dei che venerano. E per citare anche le colpe meno gravi e più comuni, ci sono quelli che danno la caccia all’eredità, falsificano i testamenti, eliminano o escludono i legittimi eredi;
qui corpora sua libidinibus prostituant; qui denique immemores, quid nati sint, cum foeminis patientia certent; qui sanctissimam quoque corporis sui partem contra fas omne polluant et profanent;  quelli che espongono il corpo ad ogni lascivia; quelli poi che, dimentichi di essere nati maschi, gareggiano con la passività delle femmine; quelli che contaminano e profanano, contro ogni legge divina, perfino la parte più degna di rispetto del proprio corpo;
qui virilia sua ferro metant; et, quod est sceleratius, ut sint religionis antistites; qui ne vitae quidem suae parcant, sed extinguendas publice animas suas vendant; si judices sedeant, aut immeritos perdant mercede corrupti, aut noxios impune dimittant; qui coelum quoque ipsum veneficiis appetant, tanquam illorum malitiam terra non capiat.  quelli che si evirano, cosa ancora più abominevole, per diventare ministri di culto [sacerdoti di Cibele, la Grande madre, dea frigia della natura selvaggia]; quelli che non rispettano neppure la propria vita, ma vendono la propria anima suicidandosi pubblicamente; quanti, quando siedono come giudici, corrotti col denaro, condannano gli innocenti o lasciano impuniti i colpevoli; quelli che con i loro incantesimi cercano di influire perfino sul cielo stesso, come se la terra non contenesse la loro malvagità.
Haec, inquam, et his plura scelera utique ab iis fiunt, qui deos colunt.[3]. Queste scelleratezze, dico, e altre ancora sono compiute proprio da quelli che venerano gli dei.
Liber VI, caput XXIII
Libro 6, capitolo 23

Venio nunc ad eam, quae percipitur ex tactu, voluptatem: qui sensus est quidem totius corporis. Sed ego non de ornamentis, aut vestibus, sed de sola libidine dicendum mihi puto; quae maxime coercenda est, quia maxime nocet.

Giungo ora a ciò che si prova col tatto, cioè il piacere, che è un senso, per la verità, di tutto il corpo. Ma io penso di dover parlare non dell’abbigliamento o dei vestiti, ma solo della libidine, che deve essere repressa moltissimo perchè nuoce moltissimo.
Cum excogitasset Deus duorum sexuum rationem, attribuit iis, ut se invicem appeterent, et conjunctione gauderent. Itaque ardentissimam cupiditatem cunctorum animantium corporibus admiscuit, ut in hos affectus avidissime ruerent, eaque ratione propagari et multiplicari genera possent. Dopo che Dio ha creato l’ordine di due sessi, stabilì che si desiderassero a vicenda e godessero della loro congiunzione. Così instillò nei corpi di tutti gli animali un fortissimo desiderio affinchè si slanciassero con molta foga in questi desideri, e per lo stesso motivo la specie potesse propagarsi e moltiplicarsi.
Quae cupiditas et appetentia in homine vehementior et acrior invenitur; vel quia hominum multitudinem voluit esse majorem, vel quoniam virtutem soli homini dedit, ut esset laus et gloria in coercendis voluptatibus, et abstinentia sui. Questo desiderio e impulso si trova più forte e ardente nell’uomo, o perchè Dio volle che il numero degli uomini fosse maggiore, o perchè diede la virtù solo all’uomo affinchè ci fosse lode e gloria nel reprimere e astenersi dai desideri sessuali.
Scit ergo adversarius ille noster, quanta sit vis hujus cupiditatis, quam quidam necessitatem dicere maluerunt; eamque a recto et bono, ad malum et pravum transfert. Illicita enim desideria immittit, ut aliena contaminent, quibus habere propria sine delicto licet. Dunque, quel nostro nemico sa quanto grande è la forza di questo desiderio, che alcuni hanno preferito chiamare necessità; e può stravolgerlo da buono e giusto in cattivo e ingiusto. Infatti, istiga desideri illeciti per contaminarli con altri diversi con cui è lecito avere i propri senza colpa.
Objicit quippe oculis irritabiles formas, suggeritque fomenta, et vitiis pabulum subministrat: tum intimis visceribus stimulos omnes conturbat et commovet, et naturalem illum incitat atque inflammat ardorem, donec irretitum hominem implicatumque decipiat. Ac ne quis esset, qui poenarum metu abstineret alieno, lupanaria quoque constituit; et pudorem infelicium mulierum publicavit, ut ludibrio haberet tam eos qui faciunt, quam quas pati necesse est. Infatti, si presenta agli occhi con forme provocanti, propone stimoli e alimenta i vizi: allora mescola e turba tutti gli stimoli nelle intime viscere, incita l’impulso naturale e infiamma il desiderio, finchè inganna l’uomo dopo averlo confuso e sedotto. E affichè non ci sia nessuno che si astenga per paura delle pene, ha creato anche i postriboli; e ha reso pubblico il pudore delle mogli infelici affinchè schernisca tanto quelli che lo fanno quanto quelli che è necessario lo subiscano.
His obscoenitatibus animas, ad sanctitatem genitas, velut in coeni gurgite demersit, pudorem extinxit, pudicitiam profligavit.  Con queste oscenità sommerse, come in un gorgo di fango, le anime nate pure, estinse il pudore e annientò la virtù.
Idem etiam mares maribus admiscuit; et nefandos coitus contra naturam contraque institutum Dei machinatus est: sic imbuit homines, et armavit ad nefas omne. 
Quid enim potest esse sanctum iis, qui aetatem imbecillam et praesidio indigentem, libidini suae depopulandam foedandamque substraverint? Non potest haec res pro magnitudine sceleris enarrari.
Così mischiò anche i maschi con i maschi e macchinò orribili coiti contro natura e contro la legge di Dio: così macchiò gli uomini e li armò ad ogni tipo di empietà. Infatti, cosa ci può essere di puro in coloro che offrono la loro giovinezza, debole e priva di difese, alle proprie libidini per devastarla e rovinarla? Questa cosa non può essere esposta oltre a causa della grandezza dell’empietà.
Nihil amplius istos appellare possum, quam impios et parricidas, quibus non sufficit sexus a Deo datus, nisi etiam suum profane ac petulanter illudant. 
Haec tamen apud illos levia, et quasi honesta sunt. Quid dicam de iis, qui abominandam non libidinem, sed insaniam potius exercent! Piget dicere: sed quid his fore credamus, quos non piget facere? et tamen dicendum est, quia fit.
Non posso chiamare questi di più che empi e parricidi, a cui non è sufficiente il sesso dato da Dio, se non rispettano neppure il proprio in modo profano e sfacciato. Tuttavia, secondo loro queste sono cose di poco conto e quasi nobili. Che dire di coloro che manifestano una libidine non abominevole, ma piuttosto folle! Rincresce dirlo, ma cosa crediamo che succederà a questi che non si pentono di ciò che fanno? E tuttavia si deve dire, perchè è giusto.
De istis loquor, quorum teterrima libido et execrabilis furor ne capiti quidem parcit. Quibus hoc verbis, aut qua indignatione tantum nefas prosequar? 
Vincit officium linguae sceleris magnitudo. Cum igitur libido haec edat opera, et haec facinora designet, armandi adversus eam virtute maxima sumus. 
Parlo di questi, la cui ripugnante libidine ed esecrabile furore non risparmiano nemmeno la mente. Con quali parole o indignazione dovrei trattare una cosa tanto ignobile? La grandezza dell’empietà supera la possibilità di renderlo in parola. Quindi, poichè la libidine produce questi effetti e indica questi peccati, dobbiamo essere armati contro di essa con la massima virtù.
Quisquis affectus illos fraenare non potest, cohibeat eos intra praescriptum legitimi tori, ut et illud, quod avide expetit, consequatur, et tamen in peccatum non incidat. 
Nam quid sibi homines perditi volunt? Nempe honesta opera voluptas sequitur: si ipsam per se appetunt, justa et legitima frui licet.[4].
Chiunque non possa frenare quegli impulsi, li contenga nella norma del talamo tradizionale in modo che ottenga ciò che desidera avidamente e tuttavia non cada nel peccato. Infatti, cosa vogliono gli uomini perduti per sè? Certo, il piacere segue gli atti onesti: se lo ricercano in sé e per sé, è giusto utilizzarlo in modo giusto e legittimo.

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti.

Note

[1] Il testo da Patrologia Latina, a cura di Jacques-Paul Migne (1844-1855 e 1862-1865), vol. 6.

Ricopiato, inviato e commentato da Daniel Chazin, che ringrazio.

Le traduzioni dal latino, inedite, sono di Pierluigi Gallucci, che ringrazio per il contributo. La revisione del testo italiano è mia, quindi eventuali errori sono da imputare a me soltanto.

La presentazione di questa pagina è provvisoria e non completa.

[2] PL VI, coll. 164-65. 
The debaucheries of Jove/Jupiter are excoriated; his affair with Ganymede is singled out for criticism and branded as "against nature", a notion here linked to the outrage against the male sex.

[3] PL VI, coll. 578-579.
Homosexual prostitutes censured for repudiating their sex and for "pollut[ing] and dishonour[ing] the most sacred part of their body". 
Though it is said to be common and tolerated among the pagans, this practice is classified among the most outrageous crimes.

[4] PL VI, coll. 716-717.
Carnal intercourse between males is branded as "abominable", "against nature", and "against the institute of God", and said to be the work of the Devil.

Note that the adjective 
"nefandus" is here applied to homosexual intercourse, thus placing its first attested usage centuries before previous estimates.
There is a whole article on this topic by J. Chiffoleau in "Annales-Economies Societes Civilisations", vol. 45 (Mar-Apr 1990).
 


Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

[Torna all'indice dei testi originari] [Vai alla pagina di biografie di gay nella storia]
[Vai all'indice dei saggi di storia gay]