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Francesco (Cecchino)
Bracci (Firenze 1525 - Roma 8 gennaio 1542) è stato un giovane amato
da Michelangelo Buonarroti, che disegnò la sua tomba.
Nacque da Zanobi Bracci, un ricco banchiere di Firenze. Lo zio Luigi del Riccio (che era figlio di Giovanbattista ed Eleonora Bracci, sorella di Zanobi), era rappresentante della famiglia dei banchieri Strozzi a Roma, e chiamò il giovane Francesco presso di sé per introdurlo alla corte pontificia. Luigi del Riccio era amico di Michelangelo Buonarroti, che conobbe il ragazzo e se ne innamorò, come rivelano gli epitaffi da lui scritti dopo la morte di Cecchino [2]. Lo zio guardava con indulgenza alla tresca, almeno a giudicare dalla libertà con cui Michelangelo ne parla con lui [3].
La tomba L'improvvisa morte del ragazzo
(che secondo l'epitaffio latino scolpito sulla tomba non aveva ancora compiuto
i 17 anni), sbigottì completamente lo zio [4],
che iniziò a progettare
un monumento funebre di dimensioni spropositate, cercando di convincere
Michelangelo a realizzarlo.
Gli epitaffi Michelangelo fu inoltre "sedotto" dall'amico Luigi affinché mandasse un epitaffio in rima dietro l'altro (alla fine ne avrebbe scritti poco meno di cinquanta!), dietro il contraccambio di ghiottonerie inviate come ringraziamento. Una
variante testuale dell'epitaffio 197 (fan fede a quel ch'i' fui
grazia nel letto, / che abbracciava e 'n che l'anima vive),
non a caso rimasta inedita fino a pochi anni fa, rivela peraltro che l'attaccamento
di Michelangelo per il ragazzo aveva avuto anche una componente sessuale.
Del resto nelle quartine mandate allo zio Michelangelo non ha timore di lodare apertamente la bellezza del ragazzo, affermando con con la sua morte per lui è sparita ogni vita:
d'alcun, qui chiusi, or chi gli è pace e vita? Beltà non già, che del mond'è sparita, ma morte sol, s'ogni suo ben qui giace.» Il sentimento amoroso del Buonarroti viene nobilitato presentandolo secondo le convenzioni dell'Amor socratico di Marsilio Ficino, che però a quella data era ormai visto con sospetto, come un trucco per occultare amori "sodomitici" [7]:
né son già morto; e ben c'albergo cangi, resto in te vivo, c'or mi vedi e piangi, se l'un nell'altro amante si trasforma.» Gli epitaffi sarebbero stati pubblicati infine postumi, dal nipote di Michelangelo, che però, spaventato dalle implicazioni omoerotiche del testo, avrebbe modificato a più riprese il sesso del destinatario, trasformandolo in una donna. Le edizioni successive avrebbero poi ripreso il testo censurato, e solo l'edizione Laterza delle Rime, nel 1960, avrebbe ristabilito la dizione originaria.
Cecchino Bracci nell'arte
Bibliografia
Link esterni
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Note
[1].Pubblicato anche su Wikipink, come: Cecchino Bracci. Il testo è quello online il 19/9/2012. Il testo di una qualsiasi data successiva può essere stato modificato anche molto rispetto a questo. [2].Si veda, fra i tanti, l'epitaffio 203, in cui Buonarroti, facendo parlare il ragazzo defunto, gli fa dire che vive ancora nel cuore di colui che lo "amò tanto": (De' Bracci nacqui, e dopo 'l primo pianto, / picciol tempo il sol vider gli occhi mei. / Qui son per sempre; né per men vorrei, / s'i' resto vivo in quel che m'amò tanto). Il ragazzo dovette peraltro
avere più d'un corteggiatore, almeno a dar retta all'epitaffio
190, che rivela:
[3]
La cosa, per quanto inquietante, non deve necessariamente stupire, vista
la mentalità dell'epoca: in una lettera del 1514/18 Michelangelo
racconta di come un padre, pur di convincerlo a prendere il figlio come
garzone, gli avesse detto che il ragazzo era di tale bellezza che "se
io lo vedessi, non che in casa, io me lo caccerei nel letto". (Da:
Lettere, a cura di Noè Girardi, Ente provinciale per il turismo,
Arezzo 1976, p. 94).
[5] Sono riprodotti in: Giorgio Lise, L'altro Michelangelo, Cordani, Milano 1981. [7] Si veda al proposito: Giovanni Dall'Orto, Socratic love as a disguise for same-sex love in the Italian Renaissance, "Journal of Homosexuality", Volume 16, Issue 1-2, 1989, pp. 33-66. |