Luigi Pissavini
(Mortara, 17 dicembre 1817 - Mortara, 8 ottobre 1898) è stato un
politico italiano.
Fu prefetto di Novara e
senatore del Regno d'Italia, ma fu espulso dal Senato nel 1888 a causa
d'uno scandalo omosessuale.
Vita
Avvocato, Pissavini fu sindaco
di Mortara (1863-1868), consigliere comunale di Mortara (1858-1888) e prefetto
di Novara dal 1880 al 1887. Dal 1865 fu eletto deputato per cinque volte
nel collegio di Mortara, fino a che il 16/03/1879 il re lo nominò
(a vita) senatore. Ricoprì tale carica fino al 21/04/1888, quando
ne fu spogliato per sentenza dell'Alta Corte di giustizia del Senato.
Lo scandalo
Lo scandalo che rovinò
la carriera di Pissavini iniziò quando
«sere sono alcuni
ragazzi narrarono di fatti osceni compiuti col prefetto; questi, sorvegliato,
fu visto sotto una porticina con essi, la notizia si sparse... [2].»
Articoli di quotidiani piemontesi
("La tribuna" e "L'Avvenire") denunciarono l'accaduto il 19/20 dicembre
1887.
Pissavini, autoritario e
arrogante, s'era fatto molti nemici, e non è affatto impossibile
che l'appostamento della polizia seguito dalle denunce sui quotidiani facesse
parte, come Pissavini ebbe a lamentare, d'un piano pensato dai suoi avversari
politici per screditarlo.
Enrico Oliari, che per primo
ha studiato il caso, così descrive l'inizio dello scandalo:
«Sul finire
del 1887 avvenne l'irreparabile. Tre ragazzi adolescenti, Scaglia, Cagnola
e Savini, confessarono ai loro genitori di aver avuto rapporti omosessuali
con il Pissavini in diverse circostanze, quasi sempre nella sala da bigliardo
del caffè dell'Amicizia di Novara. (...) Si decise di processare
Luigi Pissavini per il reato di corruzione di minori. (...) Trattandosi
tuttavia di un senatore del Regno non era possibile seguire la via della
giustizia ordinaria, anche perché se le accuse fossero state appurate,
Pissavini avrebbe offeso la dignità della sua figura istituzionale
e quindi del Senato stesso. Si decise quindi di riunire l'Alta Corte di
Giustizia del Senato, come prevedeva l'articolo 37 della Costituzione del
Regno; si trattava di un fatto rarissimo [3]»
Luigi Pissavini.
Nonostante gli inviti a dimettersi
da parte di senatori imbarazzati, che avrebbero preferito veder giudicare
Pissavini da un tribunale ordinario [4],
l'imputato cercò disperatamente di prendere tempo dando e ritirando
due volte le dimissioni e infine dandosi malato [5]
nella speranza irrealistica d'un rinvio utile ad insabbiare lo scandalo.
Invano: l'Alta Corte lo processò in contumacia a porte chiuse (due
giornali di Milano, "Italia" e "Lombardia", furono sequestrati il 21 aprile
per aver riportato parte del dibattimento [6])
e lo condannò a sette mesi di carcere e a trecento lire di multa
per "offesa al buon costume con pubblico scandalo" per gli atti compiuti
con due dei tre ragazzi (il terzo caso fu giudicato non sufficientemente
provato). Curiosamente, nella condanna ebbe nettamente maggior peso la
circostanza d'aver praticato "atti osceni" con pubblico scandalo in un
luogo pubblico, di quanto non ne avesse la considerazione della tenera
età delle vittime.
Inoltre, lo dichiarò
decaduto dalla carica di senatore e al pagamento delle spese processuali,
che ammontarono alla cospicua somma di 8000 lire. Fu così ribadito
il principio per cui chiunque fosse stato condannato per "reati contro
il buon costume" (e l'omosessualità era ancora un reato, non essendo
ancora entrato in vigore il Codice Zanardelli (1889), perdeva i diritti
di elettorato passivo a qualsiasi carica pubblica.
Da parte sua, Pissavini si
proclamò innocente e vittima d'una congiura antimonarchica:
« "A Novara - è
sempre lui che parla - c'è un partito repubblicano latente, che
odia le autorità di qualunque genere, tanto più se si dimostrano
schiettamente monarchici". Egli, Pissavini, aveva voluto mettere in freno
certi agitatori, e da qui nacque la guerra fattagli con tanta acredine,
con tanta ostinazione [7].»
Nella sentenza fu effettivamente
riconosciuto che Pissavini era stato in qualche modo colto in fallo da
avversari politici (fra essi il quotidiano "L'Avvenire"), ma sottolineando
che ciò non scusava il "fallo" stesso:
«Pissavini,
se non fu fatto delinquere, almeno fu colto in fallo, tuttavia non si può
scusare il Pissavini se egli si fece cogliere in fallo" [8].»
Fuga e morte
Per evitare il carcere Pissavini
si diede alla latitanza, rifugiandosi in Svizzera con tutti i suoi famigliari,
e vivendo a Lugano [9]
grazie alle sue rendite.
Poco prima della morte riuscì
a rientrare a Mortara, "dove visse vita oscura" [10]
fino alla fine, giunta nel 1898.
Bibliografia
-
Anonimo, Un prefetto disgraziato,
"Gazzetta piemontese", 23.12.1887, n. 354, p. 1.
-
Anonimo, Lo scandalo Pissavini,
"Gazzetta piemontese", 27.12.1887, n. 357, p. 4.
-
Anonimo, Brutte cose,
"L'Avvenire", 31.12.1887.
-
Anonimo, L'alta corte di
giustizia. Il senatore Pissavini, "Gazzetta piemontese", 06.01.1888,
n. 6, p. 1.
-
Anonimo, Il giudizio del
Senato. Procedure e ricordi, "Gazzetta piemontese", 13.01.1888, n.
13, p. 2.
-
Anonimo, Il giudizio di Pissavini,
"Gazzetta piemontese", 30.01.1888, n. 30, p. 1.
-
Anonimo, (Senza titolo),
"L'Avvenire", 4.2.1888.
-
Anonimo,
Il processo Pissavini. Il Senato in Alta Corte di Giustizia, "Il
Corriere della Sera", 19-20.04.1888.
-
Anonimo, Alta corte di giustizia.
Il processo Pissavini, "Gazzetta piemontese", 20.04.1888, n. 111, p.
1.
-
Anonimo,
Il Senato in Alta Corte di Giustizia pel processo Pissavini. Il rigetto
del rinvio. Il dibattimento a porte chiuse, "Il Corriere della Sera",
20-21.04.1888.
-
Anonimo,
Il Senato in Alta Corte di Giustizia. La requisitoria del Pubblico Ministero.
Il dibattimento a porte chiuse, "Il Corriere della Sera", 21-22.04.1888.
-
Anonimo, Processo Pissavini.
La sentenza. La fuga di Pissavini, "Gazzetta piemontese", 22.04.1888,
n. 113, p.1.
-
Anonimo,
La condanna di Pissavini nell'Alta Corte di Giustizia del Senato,
"Il Corriere della Sera", 22-23.04.1888.
-
Anonimo, La sentenza contro
Pissavini. La scomparsa da Mortara, "Gazzetta piemontese"', 23.04.1888,
n. 114, p. 1.
-
Anonimo, Alta Corte o tribunali
ordinari?, "Gazzetta piemontese", 24.04.1888, n. 115, p. 2.
-
Anonimo, Echi del processo
Pissavini, "Gazzetta piemontese", 25.04.1888, n. 116, p. 2.
-
Anonimo, L'ex prefetto,
"L'Avvenire", 28.04.1888.
-
Anonimo, Lugano, "Gazzetta
piemontese", 24.05.1888, n. 144, p. 3.
-
Anonimo, Morte dell'ex-prefetto
Pissavini, "La Stampa", 09.10.1898, n. 280, p. 2.
Link esterni
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Note
[1].Pubblicato
anche su Wikipink,
come: Luigi
Pissavini.
Il testo è quello
online il 23/02/2012.
Il testo di una qualsiasi
data successiva può essere stato modificato anche molto rispetto
a questo.
[2].Anonimo,
Un prefetto disgraziato, "Gazzetta piemontese", 23.12.1887, n. 354,
p. 1.
[3]
Enrico Oliari, Il
senatore Luigi Pissavini, già prefetto di Novara, processato a causa
del suo amore per i ragazzi, "Culturagay.it", 20/8/2007.
[4]
Anonimo, Pissavini, "Gazzetta
piemontese", 11.01.1888, n. 11, p. 1.
[5]
Arrivò a sostenere di essere impossibilitato a muoversi da una "malattia
mentale": "Gazzetta piemontese", 09.02.1888, n. 40, p. 1. Ciò costrinse
due senatori, Canonico e Colapietro, a muoversi per interrogare l'imputato
e i testimoni. L'indagine fu però del tutto sfavorevole a Pissavini:
cfr. "Gazzetta Piemontese", 27.02.1888, n. 58, p. 1. E nell'opporsi all'ennesima
richiesta di rinvio del processo, il senatore Colapietro ebbe a dichiarare
che "Crede benissimo che il Pissavini sia malato, ma di malattia nevrosi-erotica,
la quale spiegherebbe anche gli atti di cui egli è accusato, ma
non di tale malattia da impedirgli il viaggio" (Anonimo, Alta corte
di giustizia. Il processo Pissavini, "Gazzetta piemontese", 20.04.1888,
n. 111, p. 1).
[6]
Anonimo, Milano. Sequestro
di giornali, "Gazzetta piemontese", 22.04.1888, n. 113, p. 3.
[7]
Anonimo, La sentenza contro
Pissavini. La scomparsa da Mortara, "Gazzetta piemontese"', 23.04.1888,
n. 114, p. 1.
[8]
Anonimo, La sentenza contro
Pissavini. La scomparsa da Mortara, "Gazzetta piemontese"', 23.04.1888,
n. 114, p. 1.
[9]
Anonimo, Lugano, "Gazzetta
piemontese", 24.05.1888, n. 144, p. 3.
[10]
Anonimo, Morte dell'ex-prefetto
Pissavini, "La Stampa", 09.10.1898, n. 280, p. 2. |