"Ma di quale orgoglio
parlano gli omosessuali? Orgoglio di chi? Per che cosa? La verità,
invece, è un'altra: manifestazioni come il World Gay Pride non dovrebbero
essere mai autorizzate, tantomeno durante il Giubileo" (Angelo Comastri,
Arcivescovo) [2]. |
Il
World Pride 2000 è stata una manifestazione dell'orgoglio
lgbt che si è svolta a Roma (città in cui era in corso il
Giubileo cattolico) l'8 luglio 2000.
Concezione (1995)
Fu dal palco del Verona
Pride 1995 che Franco Grillini lanciò la proposta di fare dell'anno
del Giubileo l'occasione per una grande manifestazione anticlericale proprio
nella città sede dell'evento, che i cattolici si stavano preparando
a "sequestrare" come "cosa loro".
L'idea piacque a tutti i
gruppi, sia Arcigay sia di altre organizzazioni, e il Circolo
Mario Mieli, presieduto all'epoca da Imma
Battaglia, era riuscito a farsi assegnare per tempo dall'Epoa la sede
dell'Europride del 2000, per l'occasione ribattezzato "World
Pride".
Il movimento lgbt nel
1999
Nelle intenzioni l'evento
doveva essere preceduto da Pride nazionali unitari, che permettessero di
accumulare l'esperienza organizzativa necessaria per un evento di massa,
cosa che si era inizialmente verificata, facendo registrare un incremento
dei partecipanti anno dopo anno.
Purtroppo, nel 1998 e 1999
lo slancio unitario era ormai perduto, giungendo ai famigerati "pride separati",
caratterizzati da un afflusso drasticamente ridotto a tutti e quattro [3].
Fortunatamente, dopo l'inequivocabile
verdetto del mondo lgbt che aveva "votato coi piedi", disertando i Pride
della discordia, tutti i gruppi avevano dovuto fare un primo passo indietro,
ed Arcigay aveva annunciato che il Pride del 2000 a Roma sarebbe stato
l'unico in Italia, in modo da riuscire a concentrare le energie.
Alla base dei dissensi stava
la sorda e pluriennale lotta di potere fra Arcigay
nazionale, ormai il gruppo egemone sulla scena politica italiana,
e tutti gli altri gruppi, che avevano nel Circolo
Mario Mieli di Roma il loro esponente più organizzato e
ricco (grazie al successo economico di Muccassassina
e ai finanziamenti a pioggia da parte delle autorità).
Alcune delle critiche rivolte
da questi gruppi ad Arcigay erano fondate, in particolare per quanto riguardava
l'"occhio di riguardo" riservato da Arcigay al Ds (antenati del Pd) rispetto
alle esigenze di altri partiti della sinistra (specie Rifondazione Comunista).
Il Circolo Mario Mieli soffiava
quindi sullo scontento, nell'ambizione di sostituirsi al Cassero di Bologna
nel ruolo di gruppo-guida del movimento lgbt italiano. A tale scopo aveva
fondato il 17 dicembre 1994 Azione
omosessuale, una federazione di tutti i gruppi non-Arcigay,
che nelle intenzioni avrebbe dovuto agire da contraltare ad Arcigay. Tuttavia
Azione omosessuale non si rivelò un successo, dato che i gruppi
autonomi, insofferenti all'egemonia (o "strapotere") di Arcigay, dimostrarono
rapidamente di non avere alcuna intenzione di sostituirla con l'egemonia
del Mario Mieli.
Da parte sua il Mieli non
aveva alcuna intenzione di diventare il "Bancomat" per finanziare le iniziative
di gruppi che pretendevano di mantenere la più totale autonomia
decisionale e d'azione, senza renderne conto al Mieli stesso. Inoltre si
rese conto del fatto che i piccoli gruppi cercavano di mantenere ad oltranza
lo stato d'ostilità fra Mieli e Arcigay, in modo da approfittarne
alleandosi di volta in volta con l'uno o con l'altro gruppo, e non volevano
certo la soluzione definitiva a cui il Mieli ambiva (sia pure a proprio
favore).
Nell'ottobre 1997 "Azione
omosessuale" era quindi stata sciolta.
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La partenza dei manifestanti
al World Pride.
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L'inizio faticoso
Questa era la situazione
che si presentava al momento d'iniziare a organizzare il World Pride, ed
inevitabilmente parve all'inizio che a causa di essa la catastrofe fosse
inevitabile. La realtà romana (appoggiata da alcuni circoli
Arcigay dissidenti) chiese infatti provocatoriamente che le decisioni venissero
prese col principio di "una organizzazione, un voto", in modo che Arcigay
nazionale avesse un unico voto, ma che le spese fossero ripartite in proporzione
al numero di soci, in modo che Arcigay pagasse la maggior parte delle spese.
Ovviamente Arcigay nazionale
abbandonò l'organizzazione dell'evento, ma Sergio
Lo Giudice, presidente nazionale di Arcigay, concesse scaltramente
ai singoli circoli che lo desiderassero la libertà di continuare
a farne parte.
Le cose precipitarono ulteriormente
quando, ad uno ad uno, i circoli "dissenzienti" abbandonano l'organizzazione,
lamentando l'impossibilità d'essere ascoltati dagli ultra-dirigisti
ed ultra-centralisti organizzatori romani. Che troppo tardi si resero conto
infine d'essere rimasti completamente soli, a pochi mesi dall'evento. Presi
dal panico cercarono allora di ridimensionare la portata dell'iniziativa,
lanciando un appello conciliatorio a "Sua Santità" e sottolineando
che l'evento non era contro la Chiesa cattolica ma anzi mirava al "dialogo
fra le religioni e il mondo glbt".
Addirittura Vladimir
Luxuria, in data dieci marzo 2000, scoprì un'inedita propensione
alla sobrietà e alla moderazione nel vestire, del tutto nuova per
chi aveva scatenato polemiche per le sue "mises" sadomaso o di fil
di ferro ai Pride precedenti (in un caso era apparsa vestita da torta
nuziale...), invocando un Pride sobrio e moderato, e rassicurando:
«Nessuna
dissacrazione del Giubileo. La parola d'ordine che stiamo facendo girare
è quella di non preparare per l'8 luglio carri mascherati all'insegna
dell'anticlericalismo, o sfilare nudi o con atteggiamenti che qualcuno
possa definire osceni» [4].
Da parte sua, a questo punto,
Arcigay non avrebbe più visto del tutto male il fallimento dell'iniziativa,
che avrebbe sancito il fallimento del solo Circolo Mario Mieli e delle
sue mire di egemonia, pertanto gli sforzi di ricucitura dello strappo non
furono troppi, né troppo convinti.
La svolta: il Vaticano
colpisce ancora
A salvare inaspettatamente
la situazione fu il personaggio meno plausibile: il Segretario di Stato
vaticano, cardinale Camillo Ruini, che decise d'usare strumentalmente
il World Pride per far cadere il governo di centrosinistra staccandone
i cattolici, a partire dal sindaco di Roma, il neoconvertito Francesco
Rutelli, che inizialmente aveva promesso l'appoggio e il
patrocinio al Pride del Comune di Roma.
Ruini scese in campo con
violenza mai sperimentata prima [5],
pretendendo espressamente che la manifestazione fosse vietata, e chiedendo
a tutti i politici (non a caso!) di schierarsi o pro o contro le sue pretese.
Fu in questo frangente che il capo del governo, Giuliano Amato,
ebbe a dichiarare dapprima che non poteva vietare la manifestazione perché
"purtroppo" esisteva una Costituzione che non gliene dava la facoltà,
e poi che la manifestazione era "inopportuna".
A fronte d'una polemica
che attaccava tutti i giorni il mondo lgbt dalle prime pagine di tutti
i quotidiani e dai telegiornali, i gruppi lgbt misero infine da parte le
lotte per l'egemonia, e finalmente iniziarono a collaborare pienamente
alla riuscita dell'evento.
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Di fronte alla Piramide
di Caio Cestio.
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Si arriva al dunque
L'attacco del Vaticano,
che pure aveva messo in conto l'afflusso, per reazione, di alcune decine
di migliaia di manifestanti (dopo tutto, l'anno precedente s'erano contati
non più di 5.000 manifestanti in tutto) come "danno collaterale"
tutto sommato accettabile, offrì inaspettatamente a centinaia di
migliaia d'italiani l'occasione per manifestare finalmente il proprio dissenso
dall'andazzo clericale del governo e dei politici di centrosinistra.
Anche il mondo gay normalmente
estraneo alla militanza, indignato per gli attacchi quotidiani al proprio
stile di vita, si sentì coinvolto e per la prima volta si mobilitò
in massa.
Roma si trovò così
gremita di manifestanti, in buona percentuale eterosessuali: al
momento in cui la testa del corteo arrivò alla meta, la coda doveva
ancora riuscire a partire. Per mancanza di tempo, la coda del corteo evitò
di girare attorno al Colosseo e deviò direttamente sul Circo Massimo,
che risultò gremito all'inverosimile.
Quanti furono i partecipanti?
Facendo una media delle stime, comprese quelle delle forze dell'ordine,
la partecipazione si colloca in una cifra compresa tra le 300.000 e le
500.000.
Dal palco una Imma Battaglia
raggiante e in preda all'euforia gridò "Siamo... un milione!",
ma la cifra fu senz'altro esagerata. Dall'altra parte i giornali filocattolici
cercarono di diminuire le cifre dell'afflusso ("Repubblica", per non scontentare
i cattolici del Pds, scese addirittura a 200.000 partecipanti), ma le immagini
diffuse dai media erano inequivocabili: Roma era stata presa d'assalto
dai manifestanti. Il Vaticano aveva fatto male i propri conti.
A riprova dell'accanimento
dimostrato dal Vaticano, il giorno successivo alla parata il papa in
persona avrebbe attaccato il World Pride, definendolo "Un'offesa ai
valori cristiani":
«Un accenno ritengo
di dover fare alle ben note manifestazioni che a Roma si sono svolte nei
giorni scorsi. A nome della Chiesa di Roma non posso non esprimere amarezza
per l'affronto recato al grande Giubileo dell'anno 2000 e per l'offesa
recata ai valori cristiani di una città che è tanto cara
al cuore di tutti i cattolici del mondo. (...)
Vorrei a tale riguardo,
limitarmi a leggere quanto dice il catechismo della Chiesa cattolica, il
quale, dopo aver rilevato che gli atti di omosessualità sono contrari
alla legge naturale, così si esprime: un numero non trascurabile
di uomini e donne presenta tendenze omosessuali, profondamente radicate.
Questa inclinazione oggettivamente disordinata costituisce per la maggior
parte di loro, una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto,
compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio
di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la
volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al
sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare
in conseguenza della loro condizione» [6].
Una conseguenza inattesa
Nel mezzo dell'infuriare
delle polemiche, i cui toni salivano di giorno in giorno, s'ebbe un risultato
inatteso: vuoi per prudenza (onde prevenire inopportuni outing)
vuoi invece per convinzione sul fatto che fosse quello il momento giusto
per farlo, il ministro per le Politiche agricole Alfonso Pecorario Scanio,
dei Verdi, fece coming out come bisessuale.
In realtà la sua
dichiarazione più che un "coming out" fu un capolavoro d'ambiguità:
«Sono meridionale
e mediterraneo, credo che la vita vada goduta il più possibile.
Considero qualsiasi scelta a senso unico un'autolimitazione: non sono né
eterosessuale, né omosessuale» [7],
tuttavia si trattava pur sempre
della prima volta in cui ciò avveniva nella storia della Repubblica.
E se non altro nella stessa occasione il ministro aveva aggiunto:
«Sembra che
la Chiesa stia scambiando il gay pride per una specie di sexy show. Francamente
non vedo dove sia l'offesa alla religione» [7].
(Dopodiché si affrettò a fare
marcia indietro, ovviamente... [8]).
"La Repubblica", per
non scontentare i cattolici del Pd, minimizzò: parlò di "festa"
(non "manifestazione") e "200.000" persone.
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Le conseguenze.
Una manifestazione di quella
portata non poteva non avere conseguenze, che nel nostro caso furono:
1) Il Vaticano riuscì
a sfasciare l'Ulivo.
Se il Vaticano subì
una clamorosa sconfitta nel suo tentativo di dimostrarsi il portavoce di
un'Italia maggioritaria ma soffocata dagli schiamazzi d'una chiassosa minoranza
di gay, in compenso portò a casa il risultato che s'era prefisso:
entro qualche mese la coalizione dell'Ulivo rivelò tutte le crepe
causate dalle sue contraddizioni (che peraltro Ruini aveva solo posto in
luce, e non certo inventato), ed alle successive elezioni del 2001 perse.
Tant'è che l'anno successivo i cronisti che chiedevano speranzosi
cosa intendesse fare il Vaticano per il Pride del 2001 si videro rispondere
placidamente che era "una questione interna dello Stato italiano".
Nessun partito volle perciò
raccogliere il testimone di questa iniziativa, che aveva rivelato come
la questione omosessuale fosse il "tallone d'Achille" della sinistra italiana,
e che rimase quindi lettera morta.
2) Il movimento gay capì
l'importanza dell'unità.
In compenso, i gruppi gay
compresero l'importanza di agire uniti, e misero la sordina alle loro incessanti
polemiche, riprendendo la prassi dei Pride nazionali unitari, che da allora
ha proseguito senza più interruzioni. Da questo punto
il World Pride segna una vera e propria cesura che marca un "prima" e un
"dopo".
In ciò i gruppi vennero
facilitati dal fatto che il Mario Mieli uscì economicamente stremato,
sia perché l'evento era stato progettato con criteri faraonici (in
particolare, l'esibizione di Grace Jones e dei Village People si rivelò
un salasso) sia perché Francesco Rutelli, di fronte al rifiuto di
cancellare l'evento, per rappresaglia s'era rimangiato la promessa di contributo
di 300 milioni di lire. Come se ciò non bastasse, il Mieli ricevette
poco dopo una pesante multa dalla Guardia di Finanza per irregolarità
nei conti del Muccassassina. Come risultato, per parecchi anni a seguire
avrebbe archiviato qualsiasi (costosa) ambizione egemonica sul resto del
movimento lgbt italiano. Anzi, la fuoriuscita di Imma
Battaglia e la fondazione di Di'Gay
Project lo avrebbe semmai costretto a combattere per mantenere
l'egemonia sulla stessa città di Roma!
Purtroppo, nel corso di
queste convulsioni e lotte intestine romane, il sito del World Pride (www.worldpride2000.com),
con tutta la rassegna stampa sull'evento, fu estirpato dalla Rete per non
riapparire mai più.
3) I partiti politici
iniziarono a temere i leader gay.
Un altro risultato inatteso dell'"eccesso"
di successo fu il trauma con cui i partiti dovettero prendere atto, da
un giorno all'altro, della forza potenziale della questione omosessuale
(non a caso dopo il colpo assestato da Ruini in questa occasione, anche
la seconda esperienza del centrosinistra sarebbe, daccapo, naufragata sullo
scoglio dei Pacs e dell'annunciata diserzione di Mastella). L'anno successivo
le elezioni avrebbero sbalzato in Parlamento, contro la volontà
dei partiti che li candidarono controvoglia, Franco Grillini, già
presidente di Arcigay, e Titti De Simone, già presidente
di Arcilesbica. Successivamente, però, passata l'emozione del World
Pride, i partiti avrebbero ripreso il controllo, eleggendo in "quota lavanda"
solo candidati lgbt privi di un'effettiva rappresentatività nel
movimento lgbt, e "nominati" leader e rappresentanti del mondo lgbt
ad insaputa dello stesso.
Questo per evitare sgradite mobilitazioni
che potessero forzar loro la mano.
4) Fu organizzato il Family
day.
IInfine, è palese
come la successiva iniziativa del "Family day" sia stata un tentativo
ben organizzato di cancellare con una "contromossa" gli effetti (se non
altro, psicologici) del World Pride, a sostegno della campagna di sbarramento
iniziata in Parlamento contro i Pacs/Dico (una campagna tanto ben riuscita
che Mastella non riuscì a far cadere il governo Prodi su questo
punto solo perché fu preceduto dalle vicende giudiziarie
che lo riguardarono).
In effetti, dopo il buon
successo di questa manifestazione, i politici iniziarono a citare le richieste
del "Popolo del Family day" come motivo per non accedere alle richieste
del movimento lgbt: fu necessario organizzare
un Pride nella stessa piazza, con un numero di partecipanti più
alto, affinché il "Popolo del Family day" sparisse dalla scena
mediatica da un giorno all'altro, e solo per non dar estro a nessuno di
chiedere di soddisfare anche le richieste del "Popolo del gay pride", o
meglio, del "Family gay".
Bibliografia
-
World
Gay Pride 2000 minuto per minuto, ottima rassegna stampa sintetica.
-
Gianni Rossi Barilli, World
Pride. Il vizietto del Vaticano. Una riflessione, "Il Manifesto",
05/02/2000.
-
Giovanni
Dall'Orto, Il papa, il World Pride, e noi, "Pride" n. 11, maggio
2000, pp. 43-44.
-
Anonimo, Amato:
"Inopportuna la parata dei gay", "La Repubblica", 24 maggio 2000.
-
Anonimo, Gay
Pride, Rutelli ritira l'appoggio, "La Repubblica", 30 maggio 2000.
-
Anonimo, Gay
Pride, è bufera su Rutelli. Il patrocinio sarà ridiscusso,
"La Repubblica", 30 maggio 2000.
-
Stefano Marroni, <Rutelli:> "Gli
omosessuali devono capire: sono sindaco di tutti i romani", "La
Repubblica", 31 maggio 2000.
-
Anonimo, Amato:
"Sbagliato il 'purtroppo' ma la sostanza resta", "La Repubblica",
1 giugno 2000.
-
Stefano Bolognini, Gay
pride 2000: come ti vorrei, "Babilonia", giugno 2000, pp. 13-14.
-
Stefano Bolognini, World
Pride 2000, il mondo ci guarda, "Babilonia", luglio 2000.
-
Giovanni
Dall'Orto, "World Pride 2000": i miracoli esistono, "Pride" n. 13,
luglio 2000, pp. 6-7.
-
Stefano Bolognini, Il successo di un giorno,
"Babilonia", settembre 2000. Riedito come: WorldPride
Roma 2000, cronaca di una grande vittoria, nel sito "Omosofia".
-
Giovanni
Dall'Orto, Possiamo rifarlo, "Pride" n. 16, ottobre 2000, pp. 20-21.
-
Daniel Pace Pastorino, 30
anni di movimento gay lesbico bisessuale transessuale transgender in Italia.
Mostra documentale - fotografica, Circolo Mario Mieli, Roma 2002
(catalogo fotografico interamente a colori).
-
Slim (pseud. E. Marzicola), Roma
World Pride 2000. Le immagini, Arti grafiche Pasquarelli, Sora
(Fr) 2005. (Albo fotografico a colori. Introduzioni di Imma Battaglia,
Franco Grillini e Nichi Vendola).
-
Alessandro Golinelli, Il
mio pride, Stampa Alternativa, Viterbo 2005.
-
Franco Grillini e Laura Maragnani, Ecce
omo. 25 anni di rivoluzione gentile, Rizzoli, Milano 2008.
Link esterni
|
Note
[1].Pubblicato
anche su Wikipink,
come: World
Pride Roma 2000.
Il testo è quello
online il 10/4/2012.
Il testo di una qualsiasi
data successiva può essere stato modificato anche molto rispetto
a questo.
[2].Orazio
La Rocca, Monsignor
Comastri: Ma non basta, bisogna annullarlo, "La Repubblica", 25 maggio
2000.
[3]
Circolo
Mario Mieli, Gay Pride '99 e World Pride 2000. Resoconto dell'incontro
nazionale del 20.03.1999. Non ci sarà un gay pride nazionale per
il '99. "G@ynews, 13 aprile 1999.
[4].World
Pride: 8 giorni senza spettacoli dissacratori. Su "Radio radicale.it".
[5].Marco
Politi, La guerra dei cardinali per impedire il Pride, "La Repubblica",
2 luglio 2000.
[6].Anonimo,
Il Papa contro il Gay pride: "Un'offesa ai valori cristiani", "La
Repubblica", 9 luglio 2000.
[7].Concita
de Gregorio, Pecoraro si confessa: "Io, ministro bisex", "La Repubblica";
2 giugno 2000.
[8].Sebastiano
Messina, "Sono bisessuale ma cattolico: se mi sposo sarà con
una donna", "Repubblica", 3 giugno 2000.
In effetti le voci sui frequenti
"avvistamenti" del ministro nei locali gay di Roma si erano fatti tanto
insistenti da rendere il coming out una mossa prudente, visto che
per l'outing era solo questione di poco...
Non a caso il coming
out è spiegata dallo stesso Pecoraro Scanio, nell'intervista
a Messina sopra citata, come risposta a un'espressa domanda della giornalista
su una questione che a suo dire era già nota a tutti...
Ciò spiega il basso
livello di coscienza di sé del politico, che per quello che dichiarò
sul tema avrebbe fatto meglio a stare zitto.
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