Francesco
Beccuti detto "il Coppetta" (Perugia, 6 aprile 1509 - Perugia, 19
agosto 1553) è stato un poeta petrarchista e bernesco italiano.
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La
chiesa di san Francesco al Prato a Perugia, in cui fu sepolto Francesco Beccuti.
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1.
Vita
Nato a
Perugia
da nobile famiglia, partecipò alla politica della sua città,
ricoprendo cariche pubbliche. La sua vita [1]
fu quella, priva di eventi di rilievo, del letterato di
provincia,
vissuta in gran parte fra le mura della città natale, dove morì
(e dove fu sepolto, nella chiesa di san
Francesco al Prato [2]), a soli 44 anni,
nel corso di un'epidemia.
L'interesse
della sua produzione poetica, che non si discosta dai moduli
petrarchisti o al più berneschi
dell'epoca, non risiede tanto nella (pur pregevole) qualità formale,
quanto in quella dei contenuti.
Coppetta
approfittò infatti dell'enorme tolleranza
verso l'omosessualità esistente, in Italia, poco prima dell'inizio
della Controriforma, per discutere dei propri amori omosessuali con
una schiettezza che pochi decenni dopo sarebbe divenuta
impensabile.
Basterà dire
che fra le sue poesie si annoverano due lunghe composizioni sui "pro" e
"contro" della sodomia omosessuale.
2.
"Contro la pederastia" [1547/1553], a Francesco Colombo detto "Platone"
La composizione edita col titolo (non originale) "Contro
la pederastia"
(1547-1553) è indirizzata a Francesco Colombo (o Colombi) detto "il
Platone" (1515-1553) [3], che insegnava
allo Studio (Università) di Perugia [4],
per convincerlo ad abbandonare i rapporti sessuali con uomini (ma senza
gran convinzione, a giudicare dai doppi sensi osceni e soprattutto dai
due versi conclusivi: "e 'l mio dir è narrar favole al sordo / e mi
butto l'inchiostro e questo foglio"):
«
Cecco, perch'io già fui persino agli occhi
nel
fango ove tu sei sino alla gola,
io ne
posso parlar me' che gli sciocchi.
Di
quest'arte nefanda e mariola
voglio
un gran pezzo ragionarne teco:
non
t'incresca venir a la mia scola (...)
ma,
perché sono per mia disgrazia anch'io
chiamato
Cecco, e questo vizio macchia
il comun
nome e non più 'l tuo che 'l mio (...)
chi
Cecco dice e non dice Platone,
intender
si potria Cecco Coppetta;
va a poi
trarlo dal capo a le persone.
Oggi con
l'arco teso ognun m'aspetta:
o che
direbbe un amico de' nostri
per far
una leggiadra sua vendetta? (...)
Come può
far, i' non vo' dir, san Piero,
che più
ti piaccia che 'l mangiare e 'l bere
un
cento, un cinque, un cinquanta ed un zero?[5]
Io ti
dico del fondo da sedere;
non
parlo d'aritmetica, ben ch'ella
ti
volesse già far mastro o messere [6]»
Il bello è
che, dopo aver insistito per decine e decine di versi sulla bruttezza
della sodomia e la bellezza dell'amore eterosessuale, Coppetta così
conclude:
«
Ma che bisogna dir parole tante?
Un
cavallo sarebbe ormai balordo [7],
e tu
indurato stai come diamante.
Io ti
conosco a tal pasto sì ingordo,
che pria
che' l vezzo cangiarai lo spoglio [8];
e 'l mio
dir è narrar favole al sordo,
e mi
butto l'inchiostro e questo foglio [9].»
Ebbene, si
noti che l'ultimo verso contiene un doppio senso burchiellesco osceno e
a carattere omosessuale, dato che "buttare" vale anche "fare sprizzare"
(come nell'espressione "buttare sangue"), "inchiostro" vale "sperma" e
"foglio" vale "ano", circostanza questa che spinge a dubitare della
sincerità di questo attacco all'amore fra maschi.
3. "In
lode della pederastia" [1547/1553] (a Baldino Baldineschi)
La composizione edita [10] col titolo
"In lode della pederastia" [11] (titolo che nel XVIII e
XIX secolo voleva dire "In lode della sodomia") si rivolge invece a un messer
Bino (uomo d'arme che Chiòrboli [12], identifica col
capitano B<ald>ino Baldineschi):
Beccuti intende far "rinsavire" da un amore che, contro la sua
"natura", lo lega a una donna. Per convincerlo descrive quanto valgano
le bellezze dei ragazzi perugini: Boncambio, Crispoltino, Contino,
Valeriano, Turno, Alcide, e quel Francesco Bigazzini di cui
Beccuti stesso è innamorato.
Pensando a loro, ammonisce Beccuti, non bisogna deporre le armi in
questo campo, come ha fatto il capitano Scala Villani, e come rischio
di fare io per l'età:
«
Può fare il mondo ladro, messer Bino,
che
abbiate perso il gusto e l'intelletto
di quel
ch'importa più che'l pane e 'l vino?
So pur
ch'avete il giudizio perfetto
e che
più vi diletta di mangiare
dei
beccafichi [donne?] la schiena che 'l petto.
Fate
ciascun di noi maravigliare
di
questa novità che voi tenete,
che
d'altro non si sente cicalare (...)
Io
vorrei prima [piuttosto] menarmelo a mano,
più
tosto farlo ai guatter [sguatteri] di cucina,
ch'esser
di dame un polimante [spasimante] vano.
Quest'è
per esser [sarà] la vostra ruina;
la
natura a quell'arte non v'incita,
ma sì
bene [bensì] a la sferica dottrina [13]. (...)
Io vi
dovrei dir mille bravate
per
rimediar a l'inconveniente:
ma
fatel, Bin, di drieto o ve 'l menate [masturbatevi]. (...)
Vi ho
detto 'l parer mio di primo tratto;
strapesate
ora voi la calamita,
mostrando
al mondo che non siete matto;
ond'io
le braccia, le mani e le dita
non mi
terrò legate, messer Bino,
perché
mi danno i giovani la vita[14].»
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La "classica" riedizione del 1912 delle Rime. |
4.
Altre composizioni
Allo stesso personaggio appena nominato Beccuti invia due sonetti: nel
primo lo ammonisce a non affidare la sua vita a Pietro, bello sì come
una pietra preziosa, ma anche dal cuore duro come un diamante:
«
Le gemme sono in pregio a maraviglia,
perch'han
virtù con la vaghezza unita.
Il tuo
bel Pietro a tai pietre assimiglia,
ch'ognun
per bello e virtuoso addita.
Ma,
sì, Baldin mio car, mal si consiglia
chi,
quai te, mette in suo poter la vita;
perché
ha l'alma più dura e 'l cuor più saldo
del
rubin, del diamante e del smeraldo [15]. »
Nel
secondo sonetto Beccuti invita l'amico a fuggire amore e le sue pene e
a dar pace al cuore, occupandosi solo di guerra e studio.
Né sono solo questi due i personaggi coinvolti per nome dal nostro. Un
sonetto burlesco prende per esempio in giro un Bernardo Giusti
(sec. XVI) per la sua smisurata "gentilezza", cioè lo accusa di
lasciarsi sodomizzare da chiunque voglia ("arte gentile" è in
gergo bernesco la sodomia, ed "essere gentile" è espressione
bernesca per: "concedere favori sessuali" [16]:
«
I servizi che fate son cotanti,
cioè
senza dir: - Torna oggi o dimane -
e dite
del "sì" sempre a tutti quanti.
(...)
Ma
ritorniamo un poco a la stupenda
gentilezza,
a voi sol propria e natia
ben che
per discrezione ognun l'intenda:
tanto a
voi giova [piace] l'usare cortesia
che,
altrui servendo, il [lo] ringraziate ancora
come
l'obbligo vostro e non suo sia;
voi
dispensate ogni momento, ogni ora
in
beneficio d'ognuno, e pertanto
maraviglia
non è se ognun v'adora.
(...)
Con
animo sì bello è poi congiunto
un sì
benigno aspetto e sì giocondo
che ci
dimostra quel che sete appunto [17].»
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L'edizione del 1580 delle Rime del Coppetta.. |
5.
L'amore per Francesco Bigazzini e i rivali.
Benché tre sonetti del 1553 circa lodino le virtù e la bellezza (più la
bellezza che le virtù) di un Berardino Alfani, la
massima parte delle
poesie omosessuali del Beccuti è dedicata all'amore per Francesco
Bigazzini (cantato col nome di "Alessi"), che durò dal 1547 al
1553.
In tono
semiserio Beccuti si lamenta più e più volte del fatto che il
ragazzo amato è eterosessuale (Beccuti scrisse un sonetto a una donna
amata da "Alessi" per convicerla a cedergli) e gradisce come il fumo
negli occhi le attenzioni amorose omosessuali, giungendo a evitare di
farsi vedere assieme a lui per non destare voci maligne.
Sarà forse
per il fatto di non averlo mai potuto "consumare" che questo
amore durò così a lungo, in piena controtendenza rispetto agli amori
"colpisci e fuggi" di cui parlano di solito i poeti antichi. Ed è
questo un amore anomalo anche per il fatto che, in un'epoca in cui era
socialmente sottinteso che l'amore omosessuale fosse pederastico,
Beccuti si sentisse attratto da un giovane adulto (uno dei sonetti ne
festeggia il ventitreesimo compleanno).
Come se le
ripulse dell'amato Bigazzini non fossero abbastanza, Beccuti
dovette pure lottare con la rivalità amorosa di altri omosesuali, in
primo luogo Agnolo Felice Mansueti detto "Dolone" (sec.
XVI?-prima del
1550). Il poeta ne parla nel Fato di Coridone [18],
raccontando che dopo aver vinto a fatica una prima volta la reticenza
del giovane amato era riuscito infine ad ottenere il permesso di
frequentarlo, quando qualcuno (Mansueti) mise in guardia il Bigazzini
contro quella "sospetta" frequentazione:
«
Un ch'era dentro corvo e di fuor cigno
ed al
suo nome avea contrari effetti [cioè Mansueti, NdR]
e ne la lingua il tosco [veleno]
e 'n bocca 'l ghigno,
semina in quel cor puro odi e sospetti,
e mi sono
in un'ora, oimè!, ritolti
tutti gli onesti miei dolci diletti [19].»
Su questo
rivale Beccuti si prese una rivincita... postuma, visto che scrivendo
nel 1550 un sonetto per la morte d'un altro rivale in amore, Pellino
Pellini detto "Montano"
(sec. XVI?-ca. 1550) si rivolge a lui e gli dice: ora che sei morto non
temi più lo strazio d'amore che ci aveva stretti entrambi d'un unico
nodo:
«
né più strazio d'amor temi né inganno:
d'un
nodo ambi ne strinse il fier tiranno
ma tu
via sei fuggito, io son rimaso [20].»
Lassù
troverai Mansueti che, anch'egli acceso dalla stessa esca, ci
«
fu sempre avversario empio e nimico [21].»
A lui
dirai che Alessi è sempre bello com'era e, per fargli dispetto,
che sempre
«io
gli sarò, mentre ch'io vivo, amico [22].»
E per far
colma la misura, Beccuti nomina fra i rivali attratti dal Bigazzini un
quarto spasimante ancora: Fabio Stratta da Fermo. Segno,
questo, d'una
visibilità sociale dell'amore omosessuale nella Perugia
pre-controriformistica, che senza questi documenti non avremmo ritenuto
possibile. In un centro relativamente piccolo tutti sapevano tutto di
tutti, e la fama su quali fossero le persone che preferivano la
compagnia dei ragazzi era evidentemente diffusa, al punto che queste
persone conoscevano la loro reciproca fama, e la conoscevano anche i
loro amati.
6. Il
canzoniere per Francesco Bigazzini [1547-1553]
Nel canzoniere del Beccuti per Bigazzini [23] è
davvero gradevole l'eleganza con cui egli riesce ad utilizzare per un
ragazzo la fraseologia "ortodossa" (in origine eterosessuale) della
convenzione poetica del petrarchismo:
«Da
quel giorno ch'udir mi fu concesso
il suono e 'l canto e 'l ragionar celeste,
fur l'amorose cure ardite e preste
a darmi assalto, ond'io sospiro spesso [24].»
Fra i
poeti omosessuali petrarchisti del Cinquecento Beccuti è senz'altro fra
i meno banali e fra i più eleganti e raffinati.
Quanto ai temi, sono
ovviamente quelli petrarchisti: l'amante è bello e crudele, è degno
d'esser rapito da Giove come già Ganimede, appare in sogno al poeta,
gli sono amiche le Grazie, la lontananza da lui è un tormento, l'amore
per lui non nacque per scelta ma per destino e così via.
Unica nota falsa e insolita è il continuo bisogno di sottolineare che
questo amore non è "volgare" bensì casto, aspetto che finisce per
stridere come una excusatio non petita:
«
Non è 'l mio petto in volgar fuoco accenso,
come tu
credi, e teco altri s'inganna,
né fral
bellezza il mio vedere appanna,
ma di
chiara virtute un raggio intenso;
virtute
in terra che risplende e luce
nei
sereni occhi e nel parlare accorto
ch'ad
alto oprar ogni cor basso induce:
in me
luogo non ha, dal dì che porto
la
sembianza nel cor di questa luce,
pensiero
indegno o desir cieco e torvo [25].»
Non
sorprende che Bigazzini non credesse a queste parole e che quindi
girasse alla larga da un poeta che era stato capace di dichiarare
anche: Ond'io le
braccia, le mani e le dita / non mi terrò legate, messer Bino, / perché
mi danno i giovani la vita [26]!
Ad ogni modo tutto ha un termine, e un bel giorno Beccuti scopre
d'essere finalmente libero: il fascino di Bigazzini è svanito:
«
Qual fosse dianzi il volto ond'ebbi [dal quale ebbi] amara
guerra e
crudel senza trovar mai pace,
nel mio,
pallido e mesto [volto, NdR], ancor s'impara,
e qual
oggi ne sembri Amor nol tace:
ché già
levato ha da quegl'occhi 'l nido,
da la
guance le rose; e più m'attrista
che v'ha
lasciato oscura nebbia e spine [27].»
7.
Conclusioni
In conclusione, l'estremo interesse di questo "canzoniere" petrarchista
(per comprendere il quale Chiorboli [28] e Salza [29] hanno scritto
pagine utilissime) è
dato dal fatto che Beccuti volle riassumerne tutte le fasi:
dall'inizio, alle prime ripulse, ai momenti di disperazione a quelli di
speranza, fino alle beghe e gelosie con altri omosessuali (Agnolo
Felice Mansueti, Pellino Pellini e Fabio Stratta) ed alla fine; il
tutto vissuto, si direbbe, in modo esplicito (nonostante
Beccuti fosse sposato e padre di famiglia).
Il
canzoniere del Coppetta è quindi un documento sociale, umano e perfino
antropologico, oltre che letterario, praticamente unico nel suo genere:
meriterebbe per questo uno studio approfondito dal punto di vista della
storia dell'omosessualità [30].
L'autore
ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori
dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica,
e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina.
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Note
[1] Sulla
vicenda biografica vedi: C. Mutini, voce: "Beccuti,
Francesco, detto il Coppetta", Dizionario biografico degli
italiani, vol. 7, Istituto della Enciclopedia Italiana - Treccani,
Roma 1965, pp. 498-503.
[2] La
notizia appare nel "Giornale storico della letteratura italiana", VII
1865, pp. 498-502. San Francesco al Prato fu un vero e proprio
"pantheon" di Perugia: le maggiori famiglie nobiliari della città vi
tenevano i propri sepolcri. La lapide del Beccuti fu rinvenuta
inaspettatamente dal Prof. Oscar Scalvanti nel 1899, mentre era alla
ricerca del sepolcro del giureconsulto perugino Lancellotti, coevo al
Beccuti. La notizia è attestata in: Ettore Ricci, Vincenzo Ansidei e
Francesco Briganti, Il Tempio di San Francesco al Prato in Perugia:
restituito al culto ed all'arte l'anno 1926, Perugia 1927, p. 46.
[3] Che viene lodato,
burlando, per la sua "filosofica" astensione dalle donne da Francesco
Sansovino in: Le lettere di Francesco Sansovino sopra le diece
Giornate del Decamerone di m. Giovanni Boccaccio, s.e., Venetia
1542, carte 17v-18r.
[4] Il Coppetta ne
piange nel 1553, in due sonetti, la morte: Giovanni Guidiccioni e
Francesco Coppetta Beccuti, Rime, Laterza, Bari 1912, p. 247.
[5].Da leggere in cifre
romane: CVLO.
[6].Giovanni
Guidiccioni e Francesco Coppetta Beccuti, Rime, Laterza, Bari
1912, p. 287.
[7] "Sarei
riuscito a stordire, a forza di chiacchiere, perfino un cavallo".
[8] "Cambierai
prima il pelo che il vizio".
[9] Giovanni
Guidiccioni e Francesco Coppetta Beccuti, Rime, Laterza, Bari
1912, p. 291.
[10] Ibidem,
pp. 287-291.
[11] Ibidem,
pp. 283-285.
[12] "Giornale
storico della letteratura italiana", LXXV 1920, p. 237.
[13] La
geometria della sfera, ma in realtà la sodomia, in quanto nel
gergo burchiellesco "il tondo" è l'ano, e di
conseguenza in quello bernesco,
da esso derivato, significano la
stessa cosa anche "sfera" e "mappamondo" e "mondo".
[14] Giovanni
Guidiccioni e Francesco Coppetta Beccuti, Rime, Laterza, Bari
1912, pp. 283-286.
[15] Ibidem,
p. 215.
[16] Cfr. sulla questione,
per un esempio, il finto epitaffio pasquinesco del 1544 che accusa: "Qui
si reposa un certo garzoncello / chiamato 'l cardinal de Sermoneta: /
sciocco l'animo avea, ma l'aria lieta, / e credo fosse gentil
[generoso] di budello". In: Valerio Marucci, Antonio Marzo e
Angelo Romano (a cura di), Pasquinate romane del Cinquecento,
Salerno, Roma 1983 (2 voll.), p. 657.
[17] Giovanni Guidiccioni e
Francesco Coppetta Beccuti, Rime, Laterza, Bari 1912, pp.
298-299.
[18] Ibidem, pp. 170-175, n. LXXXI.
[19] Ibidem, p. 175.
[20] Ibidem, p. 234, n. CLX.
[21] Ivi.
[22] Ivi.
[23] Giovanni Guidiccioni e
Francesco Coppetta Beccuti, Rime, Laterza, Bari 1912, nn.
LXIX-LXXXII, pp. 147-175.
[24] Ibidem, p. 149.
[25] Ibidem, p. 157.
[26] Ibidem, p. 286.
[27] Ibidem, p. 175.
[28] Enzo Chiòrboli, Di
alcune questioni intorno alle rime del Coppetta, "Giornale storico
della letteratura italiana", LXXV 1920, pp. 234-247.
[29] Abd-El-Kader Salza, Francesco
Coppetta de' Beccuti, poeta
perugino del secolo XVI, supplemento n. 3 (1900) del "Giornale
storico
della letteratura italiana" (specie alle pp. 30-31 e 113-116).
[30] Unica, timida iniziativa
in questo senso è la traduzione di alcune sue poesie da parte di James
Wilhelm (cur.), Gay
and lesbian poetry. An anthology from Sappho to Michelangelo, Garland,
New York & London 1995, alle pp. 315-317.
Bibliografia
- Giovanni Guidiccioni
e Francesco Coppetta Beccuti, Rime, Laterza, Bari 1912.
Online
sull'Internet Archive.
- Da integrare
con: Andrea Crismani, Edizione critica delle Rime di
Francesco Coppetta dei Beccuti, Tesi di dottorato, Università di
Padova, 2012. Il .pdf è scaricabile da questa
pagina.
- Vincenzo Cavallucci,
Annotazioni alle rime di Francesco Beccuti detto Il
Coppetta, Pitteri, Venezia 1750. Online
su Google books.
- Abd-El-Kader Salza,
Francesco Coppetta de' Beccuti, poeta perugino del secolo
XVI, supplemento
n. 3 (1900) del "Giornale storico della letteratura italiana"
(specie alle pp. 30-31 e 113-116).
- Enzo Chiòrboli,
Di alcune questioni intorno alle rime del Coppetta,
"Giornale storico della letteratura italiana", LXXV 1920, pp. 234-247. Online
sull'Internet archive.
- C. Mutini,
voce: "Beccuti,
Francesco, detto il Coppetta", Dizionario biografico degli
italiani, vol. 7, Istituto della Enciclopedia Italiana - Treccani,
Roma 1965, pp. 498-503.
- Giovanni Dall'Orto,
Francesco Beccuti, "il Coppetta", Who's who in gay and lesbian
history (a cura di Robert Aldrich e Garry Wotherspoon), Roputledge,
London & New York 2001, vol. 1, ad vocem. (Inglobato nella
presente voce).
- Danilo Romei
(a cura di), Antologia
della poesia omoerotica volgare del Cinquecento, a cura di Danilo Romei,
banca dati "Nuovo Rinascimento", 2008.
- Danilo Romei,
"Saggi
di poesia omoerotica volgare del Cinquecento", in: Elise Boillet e
Chiara Lastraioli (a cura di), Extravagances amoureuses: l'amour
au-dela de la norme à la Renaissance, Champion, Paris 2010, pp.
235-263.
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